DI PIETRO BERRUTO
Nel 1990 Frank Miller, reduce dal successo alla DC Comics, migra temporaneamente alla Dark Horse Comics con la proposta di una miniserie di tre numeri di sua ideazione, disegnata da Geof Darrow e colorata da Claude Legris. Il titolo Hard Boiled fa riferimento al genere stesso a cui appartiene l’opera, una sottocategoria del noir investigativo; la novità che Miller e Darrow inseriscono nella serie è un contesto cyberpunk ispirato alla fantascienza degli anni ’50 e ’60. Il risultato è senza alcun dubbio straordinario.

La storia appare discontinua, una serie di eventi sia reali che irreali, mescolati fra loro in un tumulto di azione e violenza. Un mondo complesso, dettagliatissimo, che Darrow mette insieme con cura, articolando in ogni scena anche i più piccoli pezzi metallici, i frammenti di automobili, i cavi, costruendo una città che è fatta di infrastrutture ed elementi meccanici futuristici. In questo ambiente, troviamo Nixon, un omone stempiato, un esattore delle tasse, anche se però svolge il lavoro in maniera non convenzionale, uccidendo gli evasori fiscali senza pietà e non salvaguardando minimamente il proprio corpo nel mentre. A pagina 11, Nixon muore. Non è la prima volta che muore, ma Nixon, che intanto viene rimontato dagli scienziati della Willeford Home Appliances, questo non lo sa. In verità quello che Nixon non sa è davvero tanto, perché continua a sbagliare il proprio nome, chiamandosi “Harry” o “Charles”, “Seltz” o “Burns”, e continua a ricordare cose che non sono successe, come se vivesse in due posti e tempi contemporaneamente. In un meraviglioso e brillante sovvertimento del genere hard boiled, in cui spesso il protagonista è un veterano che soffre di PTSD, Miller crea una versione artificiale del disturbo, adatta per un robot che crede di essere umano e le cui memorie vengono costantemente riscritte, modificate e cancellate. In un mondo governato da mega-aziende che fanno ciò che vogliono della società, una ribellione dei robot, trattati come cittadini di seconda categoria, sembra inevitabile. E in un macrocontesto del genere, di schiavismo, ultraviolenza ed esperimenti, cosa è Nixon? Una vittima, nulla di più, allo stesso modo in cui i classici detective erano vittime dell’aver servito in guerra. Il povero “esattore delle tasse” rappresenta l’uomo comune in una civiltà che non ha il minimo rispetto per lui, che invece vuole solo cercare di tornare a vivere la sua vita, stufo dei soprusi e delle assurde complicazioni dolorose della sua condizione. Lo svolgimento della storia di Hard Boiled è inusuale per lo stile di Frank Miller: per essere un autore che ha popolarizzato di nuovo negli anni ’80 la forza del superuomo, che mette sé stesso in gioco costantemente e riesce a vincere contro i regimi opprimenti, Nixon alla fine perde e viene nuovamente soggiogato. La ribellione non vince. Viene da chiedersi se sia il semplice modo di emulare i generi di riferimento (come l’eponimo hard boiled e la fantascienza alla Philip K. Dick) o solo una temporanea ritrattazione della filosofia dello scrittore.

L’azione è stupefacente: in un miscuglio di fumetti francesi ed espressionismo tedesco, Darrow inverte il normale paradigma delle opere di Frank Miller, spesso spartane nei dettagli e basate sul costante movimento cinematografico. L’opera sfrutta perfettamente il medium del fumetto per poter spingere al massimo delle sue possibilità ogni singola vignetta: ciò si sposa bene con un universo narrativo come quello di Hard Boiled, riempito fino all’orlo di marchi, loghi e scritte a causa del dominio incontrastato di aziende e pubblicità. Un’altra nota interessantissima è la scelta di Legris di utilizzare tinte calde e piatte per dipingere un panorama retrò, che contrasta con maestria la purezza della monocromia e la sporcizia del sangue, dei rottami e delle fiamme. Graficamente, questi tre numeri, che si leggono uno di seguito all’altro, non dando la possibilità al lettore di prendere respiro, sono un piccolo gioiello nella bibliografia di tutti gli artisti coinvolti.

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