DI ELODIE VUILLERMIN
FrontDoc, il festival internazionale del cinema di frontiera che si tiene ogni anno ad Aosta, in questa nuova edizione ci regala tante sorprese. Tra i numerosi lungometraggi e cortometraggi presentati al Teatro Giacosa, quello che mi ha colpita di più è senza dubbio Feu feu feu di Pauline Jeanbourquin, giovane regista di origini svizzere. Da non sottovalutare, poi, il contributo di Théodora Menthonnex, che si è occupata di tutto ciò che riguarda l’aspetto sonoro.
Proiettato nella serata del 29 ottobre 2024, in collaborazione con Fondation Chanoux e la Maison des Anciens Remèdes di Jovençan, il film si incentra su Juliette, una giovane coupeuse de feu, o, per dirla alla valdostana, una praticante del secret. Ma che cos’è il secret? È quella pratica, o forse è più corretto dire quel dono, che permette di attenuare il dolore dovuto a bruciature, lesioni e altri malesseri tramite un insieme di formule e preghiere. Non mira a guarire i pazienti, ma semplicemente ad affievolire i loro dolori. Vuol dire memoria, vuol dire territorio, vuol dire sapere antico. Tuttavia il modo in cui ci si approccia al secret è diverso a seconda della zona geografica in cui viene applicato: se in Valle d’Aosta è una pratica non riconosciuta dagli operatori sanitari e quindi si utilizza solo nella sfera privata, in Svizzera la situazione cambia totalmente.

Juliette ha ereditato questo dono da sua nonna e sta cercando di essere ammessa alla facoltà di ostetricia. Durante il lockdown aveva cominciato a caricare sui social dei brevi video in cui spiegava le sue conoscenze e i suoi metodi di trattamento del dolore. Ma questo semplice hobby è diventato, con il passare del tempo, una passione vera e propria.
Juliette è un personaggio molto ricco e interessante, poiché non si limita a praticare il secret, ma possiede anche una sua spiritualità e un interesse verso pratiche diverse. Il suo talento, nel corso del film, lo dimostra in vari modi. Usa delle gemme con influssi benefici, le dispone in cerchio e fa oscillare un pendolo sopra di esse; a seconda della combinazione di gemme scelta, può aiutare qualcuno a combattere l’ansia da esami, tenere lontane le energie negative o altro ancora. Brucia delle particolari erbe per ottenerne un incenso. Legge delle carte simili ai tarocchi, le quali indicano al paziente quali fasi emotive sta attraversando nella vita e di quale spirito guida può aver bisogno per superare un’eventuale crisi. Accende candele con determinati profumi.
Ma tra questi metodi applicati da Juliette, il più interessante è senza dubbio il magnetismo, di cui la ragazza si serve per affievolire il dolore da ustioni o da qualsiasi tipo di irritazione, lenire le sofferenze della chemio o della radioterapia, aiutare contro le distorsioni e così via. È come se vedesse il dolore in forma fisica e lo assorbisse dentro di sé, ma poi quel male va espulso in qualche modo, ecco perché scuote le mani al vento oppure le immerge in acqua fredda. È un principio di scambio equivalente: togli energia negativa a qualcuno per riceverla tu e liberartene in seguito.
Nel corso del film vediamo il difficile rapporto tra il secret, una pratica antica, e le nuove generazioni: per molti giovani, se hai quel dono là sei bollato come strano, inquietante, addirittura ti danno della strega o ti possono sbeffeggiare con domande del tipo “credi di essere Harry Potter?”. Juliette, tuttavia, non si lascia scoraggiare da queste critiche e riesce a connettersi con i suoi coetanei, a dimostrargli l’efficacia del suo dono e a diventare una figura di riferimento per molte persone, che le chiedono consiglio sui social o via mail per gestire differenti tipi di dolore.
La giovane porta avanti il dono di sua nonna, che è un sapere antico (come è stato descritto durante la presentazione antecedente alla proiezione del film), ma al tempo stesso rompe le vecchie tradizioni: se una volta si faceva ricorso al passaparola, ora le “streghe” si svelano e non hanno paura di diffondere al mondo le proprie conoscenze per aiutare le persone.

Ogni scena, anche la più banale, rivela una sfaccettatura in più del carattere di Juliette. Il tuffo dalla scogliera che non riesce a portare a termine è interpretabile come il rischio che deve correre, ma che al tempo stesso non se la sente di affrontare, almeno in un primo momento. Il gioco delle paure e dei sogni evidenzia invece la paura della ragazza di impegnarsi.
Tutta la parte del campo scout è fondamentale, poiché ci mostra la crescita e la formazione personale della ragazza. Trascorrere qualche settimana in un monastero situato vicino alla natura e al mare diventa un’occasione preziosa per svelare alcuni aspetti sul secret: la forte componente religiosa (e infatti una delle monache dice a Juliette “se sei credente, ti si aprono molte strade”), il legame imprescindibile con la natura, il contrasto con la scienza. Non solo, la gita diventa un’opportunità per creare dibattiti costruttivi sugli aspetti più ignoti e forse controversi di questo dono. Per esempio, uno dei ragazzi dice “Non c’è niente. Una pietra è una pietra. Un uomo è un uomo”. Allora, si chiede, com’è possibile che avvenga qualcosa di miracoloso, che ci sia più di quel che vediamo? Juliette non dà risposte esaustive, solo la sua interpretazione delle cose.
Le inquadrature più evocative del film, a parer mio, sono quelle delle mani della protagonista, perché è lì che si concentra tutta la sua abilità, tutta la forza del suo dono. Vediamo mani sospese a pochi centimetri dalla pelle delle persone, mani nell’acqua, mani che toccano la pancia di una donna incinta, mani che si agitano per scrollarsi di dosso l’energia negativa che hanno assorbito.
Come si sono incontrate Pauline e Juliette?, ha chiesto Nora Demarchi, vice presidente del comitato direttivo APA e presenza fondamentale all’interno di FrontDoc, a seguito della visione del lungometraggio. Il tutto è cominciato quando Pauline ha conosciuto una ragazza di 15 anni che praticava il secret, tuttavia quando la suddetta ragazza ha deciso di non utilizzare i doni che aveva ricevuto, Pauline ha dovuto rimettere in discussione tutto, al punto che pensava di abbandonare il suo progetto. Poi un giorno, in maniera casuale, si è imbattuta in un video di Juliette su TikTok ed è rimasta colpita dal modo spigliato e aperto con cui parlava del secret, perché di norma è una pratica piuttosto intima e privata qui in Valle d’Aosta.
Altro aneddoto interessante: l’esperienza del campo scout è la stessa che Juliette ha fatto veramente a un certo punto della sua vita. Questo ha permesso ai personaggi di immergersi totalmente nell’ambientazione, al punto che si sono scordati dell’esistenza della troupe che li riprendeva, e questo ha dato al prodotto finale quell’idea di naturalezza che in altri casi non sarebbe stata possibile.


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