DI ELODIE VUILLERMIN
Di norma mi ritengo una persona sfortunata. Eppure ho delle incredibili fortune, di cui non mi dimentico. Per esempio, avere dei genitori stupendi. Che oltretutto lavorano in biblioteca. Grazie a ciò, talvolta mi capita di avere in prestito il libro di qualche autore interessante. Oggi voglio porre l’attenzione su Katja Centomo, scrittrice e fumettista valdostana, famosa per la serie a fumetti Monster Allergy.
Gabriele è un ragazzino di dodici anni, pronto per una gita in montagna con i suoi cugini Leo ed Elena, ragazzi di città ma legatissimi al loro luogo di nascita (la montagna). La sua non è solo una vacanza in tenda, con la compagnia di due adolescenti che considera fratelli. Nel villaggio di Praz, lontani dalla città e da tutti i confort del wi-fi, i tre cugini scoprono un cavo metallico teso tra due ceppi di legno, usato per il trasporto della legna in tempi antichi. È proprio grazie a questa fune che entrano in contatto con Riàn, un ragazzo con tante storie da raccontare. Tuttavia lui non si trova fisicamente a Praz, almeno non in quell’anno: infatti è vissuto durante la Seconda Guerra Mondiale. Quindi come fa a parlare con persone che vivono a più di settant’anni di distanza da lui? Tramite la fune d’acciaio, che non è solo una mera testimonianza di un tempo passato, ma un collegamento tra due epoche diverse, e il custode silenzioso di un retroscena tragico.
I personaggi sono ben costruiti e ognuno è divertente a modo suo. Gabriele vuole dimostrare di essere grande a tutti i costi. Elena deve gestire le noie e le responsabilità del proprio ruolo di ragazza matura, oltre ad avere una naturale incapacità di saper scegliere. Leo è il più creativo, si inventa sempre nuovi passatempi e la sua peculiarità è avere interessi molto volubili: si fissa degli obiettivi ambiziosi che tuttavia abbandona con la stessa rapidità con cui li ha pensati.
La scrittura restituisce con parole semplici e chiare l’ambientazione. Da valdostana di nascita, mi ha fatto un grande piacere sentire le tradizioni dei villaggi mobili, le espressioni in patois, i termini tipici come envers. Gli odori, i suoni e i colori della montagna erano così vividi che mi sembrava di essere lì, dentro la storia, insieme ai personaggi. Le sensazioni che provano, come il sentirsi il re del mondo a una quota sopraelevata o il sapore dei piatti mangiati, sono molto vivide. Mi hanno ricordato i periodi trascorsi in montagna a Brusson e le camminate che facevo da piccola con i miei genitori.
Quella della Centomo è una scrittura bella, pulita, semplice e soprattutto vera. Ha saputo restituirmi il ritratto di un mondo nel quale mi sono riconosciuta; un mondo di tante vallate, di fiumi e laghi, di monti e boschi, di sentieri battuti, di dislivelli che mozzano il fiato a chi non ci è abituato. Non solo, è riuscita a farmi scoprire cose che non conoscevo a fondo, a darmi una maggiore consapevolezza della maestosità della mia cara Valle d’Aosta, piccola rispetto a ogni altra regione d’Italia, ma con una storia alle spalle tutta da scoprire. Le trascrizioni di Riàn pongono l’attenzione sul mondo degli agricoltori e dei pastori, sulla lavorazione artigianale dei prodotti, su quelle tradizioni di montagna che in molti hanno dimenticato con il trasferimento in città: tutto ciò allo scopo di imparare dal proprio passato, di non scordarlo mai.
La storia si compone di capitoli molto brevi, leggeri ma appassionanti. Le pagine scorrono veloci senza che tu te ne accorga, preso come sei dalla lettura. L’unica pecca è che tutto si risolvi in fretta verso la fine, da parte mia avrei voluto che quegli istanti durassero un po’ di più. Il libro rimane comunque più che valido. È un’avventura spensierata e curiosa, avvolta in un alone di mistero e fascino storico, con un colpo di scena ben studiato. Non si vive soltanto un evento al di fuori dell’ordinario: si matura, si acquisisce una consapevolezza nuova, si porta nel cuore qualcosa che di sicuro non verrà mai scordato (in pieno stile Stand by me).
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