My Daemon

DI GIOSUE’ TEDESCHI

Cos’è l’amicizia? Cos’è l’amore? Sono davvero due cose diverse? In che campo semantico ci troviamo quando sentiamo parlare di “amore amicale”? 

Un ragazzino di 11 anni vive con quello che è a tutti gli effetti un cane. L’unica particolarità di questo cane è che può far scomparire le cose. Il problema è che vogliono portare via il cane al bambino perché lo ritengono pericoloso e il bambino fa di tutto per tenerlo con sé e non lasciare che li separino. Semplice, lineare, eppure coinvolgente; forse proprio perché così comune da risuonare per chiunque. 

Quella di My Daemon non è una storia nuova. Anche se nessuna storia lo è veramente, in questo caso si sente, particolarmente sul finale. Dispiace perché inizia con delle ottime premesse. I rapporti tra i personaggi sono semplici ma chiari e i punti di svolta nella storia sono tutti esattamente dove dovrebbero essere. 

Si potrebbe dire che abbiano fatto lo stesso errore della serie televisiva «Outer Banks». Come in quel caso, non hanno capito il motivo che spingeva il lettore a guardare la storia. In qualche modo sembra che questa storia sia più che altro un esercizio di stile per gli scrittori nella writer’s room di Netflix. Hanno messo insieme i cervelli e a tavolino hanno buttato giù una storia che rispettava tutte le regole prefissate. In linea di principio va anche bene come cosa, in ogni lavoro ci sono delle scadenze e non c’è nulla di male nell’utilizzare degli strumenti al servizio della creatività e dell’ispirazione per venire incontro alle richieste. 

Quello che lamento è che quella poteva essere una bellissima storia, con moltissime svolte in più di quelle che ha avuto; una storia che poteva anche non appiattirsi su un semplice conflitto tra umani e mostri che si risolve in un’armonica ed idilliaca convivenza. L’amaro che lascia è dato dalla potenzialità sprecata. Dov’è che le cose hanno iniziato ad andare male? Perché? Poco oltre la metà quella che era una storia intima e piena di eroismo diventa… banale? Tutto passa in mano agli adulti. Certo il ragazzino ha solo 11 anni, non può fare chissà cosa e che abbiano rispettato le limitazioni del personaggio in questo senso gli fa onore. Però, allo stesso tempo, quando sono gli adulti ad avere influenza sugli eventi il protagonista passa in secondo piano. Non poteva essere altrimenti. Così ci vediamo strappati al ragazzino che stavamo imparando ad amare e ci ritroviamo in mezzo a personaggi alti e sconosciuti che decidono per noi. 

Dal punto di vista tecnico, invece, è perfetta. Primo elemento tra tutti i colori, poi i punti di svolta della storia che erano tutti al posto giusto, delle sequenze di combattimento davvero avvincenti, l’attenzione ai dettagli, forse per i dialoghi potevano usare qualche attenzione in più. La tecnica di animazione tridimensionale utilizzata si sta affinando di volta in volta. Mi sembra, da profano, che abbia fatto un salto di qualità enorme rispetto ad una serie anime come «Onimusha». Anche se può darsi che sia tutto dato dalle differenze di budget e nient’altro. 

Certo la riguarderei, non è stata una perdita di tempo, al contrario di qualche altro prodotto. Però non mi sento di consigliarla a qualcuno. Non è male perché è tecnicamente ben eseguita, ma sento che gli manca quell’anima di cui aveva i germi e che l’avrebbe resa una storia indimenticabile

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