DI ELODIE VUILLERMIN
Lo scrivo e lo ammetto: è difficile stabilire una classifica sulle migliori canzoni dei Beatles. Verrebbe da dire che sono tutte capolavori, che tutte hanno rivoluzionato la storia della musica in un modo o nell’altro. In parte avete ragione. Poi sono una persona che, di natura, fatica a trovare (la maggior parte delle volte) il suo preferito in assoluto di qualsiasi cosa: che siano canzoni, film o manga, trovo sempre almeno cinque o sei nomi da piazzare a pari merito al primo posto delle mie preferenze, senza riuscire a selezionarne uno migliore degli altri. Per questo non me la sono sentita di fare una top 10, o una top 20, o cose simili. Ho preferito di gran lunga fare una lista di alcune tra le più celebri e significative. Un’impresa difficile, lo so, e già mi darete della folle. Ma se non lo fossi, non sarei parte di questo mondo meraviglioso che è Mercuzio & Friends, e dunque non sarei abbastanza coraggiosa da sfidare la sorte. Perciò ho voluto tentare e questo è il risultato. Tenete a mente che sono opinioni personali, non prendete le mie parole come verità assolute.
Love Me Do ha il merito di essere la prima canzone pubblicata in assoluto dai Beatles. La prima canzone originale, la prima dopo una serie di cover. Un brano a cui Paul McCartney era fortemente legato: pare che abbia iniziato a scrivere il testo già nel 1958, dedicandolo alla sua fidanzata di allora, Iris. Ma quel brano è rimasto chiuso in un cassetto per lungo tempo, dato che molti non lo trovavano abbastanza valido, paragonandolo a una canzonetta. Finché non lo ascoltò John Lennon, il quale aiutò nel completamento del testo. Se McCartney considerò l’amico co-creatore della canzone, Lennon fu più modesto, asserendo che quel brano appartenesse solo a Paul.

Nella versione originale Paul era la voce principale e John quella di supporto. Pochi strumenti, ma buoni: due chitarre, un basso e una batteria. Il testo non trattava di chissà quali temi complicati, ma il ritmo incalzante faceva sì che il brano venisse trasmesso con grande intensità al pubblico. Ad accompagnare il brano, il riff di un’armonica suonata da Lennon che, leggenda vuole, sembra essere stata rubata in un negozio di Arnhem. Uno stile che caratterizzò i primi anni dei Fab Four. Un successo commerciale quasi immediato, che diede il via alla Beatlemania. Una canzone rivoluzionaria per il semplice fatto che fossero stati i musicisti stessi a scriverla, anziché appoggiarsi a compositori professionisti.
Considerato il maggior successo di vendite dei Beatles in Inghilterra, She Loves You fu scritto prima su un autobus e in seguito venne ultimato in un hotel di Newcastle. Lo “yeah yeah yeah” del ritornello divenne così celebre, orecchiabile e coinvolgente da definire il nome di un’intera generazione (yé-yé, per l’appunto). C’era anche una serie di “woo” in falsetto, ispirati alla registrazione di Twist and Shout, brano degli Isley Brothers. Gli strumenti elettrici erano mixati più in alto rispetto al passato, per dare una maggiore potenza al brano. Di nota è anche l’accordo di sesta maggiore che conclude la canzone. Senza contare il mix di sonorità folk e rock.
Impossibile, poi, non citare I Want To Hold Your Hand, fautrice della rivoluzione beatlesiana in America. Fu scritta nel giro di poche ore nella casa di McCartney a Londra, in Wimpole Street. Sembra che Lennon ebbe l’intuizione sulla melodia quando sentì l’accordo in Si minore fatto da Paul al pianoforte, a conclusione di una prima versione del brano. Al sentirlo pronunciò entusiasta le celebri parole: “Eccolo! Rifallo!”, come confermò un’intervista di qualche anno più tardi. La canzone divenne così celebre che ne venne fatta anche una versione in tedesco. Il ritmo è pop, semplice, ma ben arricchito dagli hand-clap. Le armonizzazioni vocali non sono mai identiche: sono eseguite non solo sugli accordi di terza o di sesta, ma anche su quelli di quarta e di quinta.
Yesterday è un’altra tra le canzoni più celebri. Si racconta che McCartney abbia composto questo brano dopo averlo sognato una notte. Al risveglio si mise al pianoforte e cominciò a suonare la melodia, per poi lavorare sul testo. Eppure mancava ancora un titolo adatto. In origine si chiamava Scrambled Eggs. Divenne Yesterday a seguito di un viaggio di Paul a Lisbona con la sua fidanzata Jane Asher: a suo dire, una volta pronunciata quella singola parola il resto della canzone veniva automatico.

Ci furono due registrazioni di questo brano, di cui la migliore fu proprio la seconda. In essa non compaiono Lennon, Harrison e Starr. C’è solo la voce di McCartney accompagnata da una chitarra e un quartetto d’archi, coinvolto su suggerimento di George Martin.
Il testo parla di una persona che ormai non c’è più. Molti hanno creduto che si trattasse di una storia d’amore finita male, finché anni dopo, nella sua biografia Many Years From Now, McCartney ammise che la canzone era una dedica alla madre Mary, morta quando lui aveva soli 14 anni. A oggi rimane il miglior brano pop di tutti i tempi (secondo MTV e Rolling Stone) e la canzone più coverizzata al mondo.
Anche di Drive My Car McCartney aveva già la melodia in testa, ma trovava il testo disastroso: perciò i Beatles ci lavorarono su insieme per migliorarla. Fu una delle più faticose sessioni compositive, a detta di Paul stesso, tanto che la registrazione si prolungò oltre la mezzanotte. McCartney suonò la chitarra solista, il basso e nel ritornello anche il pianoforte. Harrison e Lennon si occuparono delle armonie vocali. Oltre alla batteria di Starr, sono stati usati il campanaccio e il tamburello basco: una scelta inusuale ma vincente, per il brano di apertura di Rubber Soul.
Dello stesso album ricordiamo In My Life, di cui Lennon e McCartney si sono contesi il merito per anni. Come ammise John di fronte a un giornalista, questa era “la mia prima canzone davvero importante e la prima che ho scritto nella quale ho consapevolmente parlato della mia vita”. Punti di forza del brano sono sicuramente la melodia malinconica eppure leggera, la struttura minimale (strofa e ritornello esteso che si alternano) e quell’assolo di pianoforte elettrico in puro stile barocco. Oltre a esso, si possono distinguere i suoni del basso, della chitarra solista, del tamburello basco, della campana e del clavicembalo.
Poi, Help!, canzone allegra ma con una richiesta d’aiuto nascosta tra le righe. Inizialmente pensata come una ballata, tratta del difficile rapporto di Lennon con la prima moglie Cynthia Powell e il figlio Julian, oltre che della dipendenza da droghe che lo stava lentamente distruggendo. Un dolore trasmesso nel modo più semplice e sincero possibile. Una sofferenza non solo propria di Lennon, ma di tutta la band: ricordiamo che negli anni ‘60 i Beatles erano poco più che ventenni e ritrovarsi catapultati nel mondo della musica a una così giovane età, oppressi da aspettative e da problemi personali, era una situazione tutt’altro che facile. Help! dà voce a tutto il non detto dietro la facciata di celebrità, con un ritmo accelerato rispetto agli intenti originari e a dir poco coinvolgente.
Yellow Submarine somiglia a una filastrocca per bambini e molti ritengono che il testo venne alla luce con la spinta di qualche sostanza stupefacente, il che spiegherebbe la natura quasi allucinata del brano (anche se McCartney ha sempre negato questa supposizione). Paul aveva pensato questa canzone apposta per Ringo Starr: infatti era lui a doverla cantare. Un brano bizzarro, sì, ma a suo modo geniale. Gli effetti sonori sono stati creati con mezzi di fortuna: catene, fischietti, sirene e molto di più; perfino la campana di una nave e una vasca piena d’acqua. La parte dove suona la banda di ottoni è stata tagliata e rimontata a caso così che fosse talmente irriconoscibile da non violare il copyright. Mentre il coro è stato improvvisato e riunisce tutte le persone che erano in studio al momento della registrazione: manager, produttori, tecnici, addirittura un autista e il musicista Brian Jones.
Lucy In The Sky With Diamonds è un altro dei brani dalle origini più controverse. Il titolo sembra richiamare la LSD e il testo parrebbe descrivere gli effetti dovuti all’assunzione di quest’ultima. Ma la versione ufficiale è un’altra: sembra che il tutto sia partito da un disegno del piccolo Julian, raffigurante una compagna di scuola (per cui lui aveva una cotta) che volava in un cielo di stelle simili a diamanti. Surreale, bizzarro e psichedelico questo brano lo è di certo, non a caso Lennon si è ispirato alle atmosfere di Alice nel Paese delle Meraviglie per scrivere il testo; eppure i Beatles non hanno mai pensato al riferimento alla droga. Una melodia semplice arricchita dal basso e da un suono distorto dell’organo Hammond, diventata così famosa che il nome Lucy venne associato ai resti di un’ominide femmina trovati in Etiopia e a una stella nella costellazione del Centauro.

All You Need Is Love è un inno alla speranza, un canto di protesta pacifico perfettamente in linea con il contesto storico. Siamo nel 1967, nel pieno del Summer of Love. In quell’anno andò in onda l’Our World, importante trasmissione dedicata alla musica pop. Vi parteciparono 26 paesi, ognuno rappresentato dai suoi artisti. Ovviamente l’Inghilterra scelse i Beatles e questi composero una canzone semplice, dal messaggio chiaro e preciso. Un successo globale immediato. Aveva un ritornello ripetitivo, di facile comprensione, in perfetto contrasto con i versi della strofa, ancora oggi dal significato sconosciuto. Numerosi i riferimenti alla musica classica e tradizionale. Inusuale ma vincente il ritmo di 7/4.
Tra le migliori composizioni di Lennon, Strawberry Fields Forever prende il nome da un orfanotrofio di Liverpool dove John ha vissuto per molto tempo. Se la maggior parte dei suoi brani li aveva scritti insieme a McCartney o al resto della band, e in poche ore, a questa canzone ha lavorato in solitaria per molto tempo. Un lavoro lungo, che necessitava di molta pazienza, ma che ha saputo dare i suoi frutti. Per la registrazione del brano sono servite 45 ore e ben tre versioni. Il risultato finale è frutto di due versioni, in due velocità e tonalità diverse (in La e in Si bemolle), unite insieme. Gli accordi sono così vari ed elaborati che non hai mai la certezza di sapere in quale tonalità ti trovi.
Hey Jude è una dedica che McCartney fa al piccolo Julian per dargli conforto in un momento delicato come lo è il divorzio dei genitori. Alla base, fatta al pianoforte, si aggiungono percussioni e suoni di chitarra, più archi e fiati orchestrali nella parte finale. Ottava posizione nella classifica delle 500 migliori canzoni di tutti i tempi secondo Rolling Stone: mica roba da poco.
Solare e positiva come l’astro di fuoco che sorge all’orizzonte, Here Comes The Sun fu scritta da Harrison durante un soggiorno dall’amico Eric Clapton, lontano da avvocati, stress e screzi con gli altri membri della band. Ci vollero 13 takes per registrare la parte ritmica e solo il giorno dopo venne aggiunta la parte vocale. Come ultima aggiunta, la chitarra elettrica, la parte orchestrale con le partiture scritte da George Martin e il sintetizzatore moog.
Let It Be ha la sua importanza in quanto uno degli ultimi brani dei Beatles. Pare che McCartney abbia avuto l’ispirazione a seguito di un sogno in cui fu visitato dalla defunta madre. Il gruppo si sta sciogliendo, le discordie lo dilaniano. Che fare? La risposta che Mary gli avrebbe dato sta nel titolo della canzone: lascia che accada, lascia che sia così. Nella versione finale McCartney suonava un pianoforte a coda, Lennon il basso, Billy Preston (grande collaboratore dei Fab Four nei loro ultimi anni di attività collettiva) l’organo, Harrison la chitarra elettrica e Starr la batteria.
Menzione d’onore va anche a una delle tante canzoni da solista di Lennon, Imagine, magnifica ballata al pianoforte in Do maggiore e dal messaggio di grande impatto.


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