DI CECILIA ALFIER
Immagina di avere 31 anni ed essere invitato a un diciottesimo. Penserai che sarà noioso, che sì, il liceo era divertente, ma adesso basta, sei un businessman affermato. Solo per spirito goliardico hai accettato l’invito. Ma all’improvviso il diciottenne parla, sembra aver vissuto tre secoli e ricordarsi tutto e tu rimani incantato a sentirlo.
Mi sono sentita esattamente così, quando lo scorso 10 settembre sono stata invitata (imbucata) a un diciottesimo importante. Il Circolo dei Lettori di Torino ha solo cominciato i suoi festeggiamenti, parlando di metamorfosi e maturità, qualunque cosa significhi questa parola.

In una sala di medie dimensioni, che per sfarzo non sfigurerebbe in una puntata di Bridgerton, Viola Ardone, l’insegnante-scrittrice, ha parlato di cambiamento. Com’è strano discorrere ancora di storie vecchie, Ovidio, Apuleio. Dopo duemila anni la storia di un uomo tramutato in asino ha ancora da dirci. Questo perché il cambiamento è una costante nella storia, sia quella reale, che quella romanzesca, a volte il cambiamento è anche l’idea gattopardiana che tutto debba cambiare per rimanere uguale, ma non è necessariamente un concetto negativo. Anzi, forse, è la chiave dell’equilibrio.
Trascorriamo tutta la vita adulta a cercare di capire cosa sia andato storto dopo la prima elementare e a cercare di ricostruire la persona che eravamo, con una mente più complessa che nessuno ha chiesto.
Gli scrittori in particolare indagano la propria mente, spesso romanzando sé stessi. I miei preferiti sono quelli che riescono a fare della Storia con la S maiuscola una questione privata: si tratta di un processo complesso, quello di far assurgere la propria vicenda personale a qualcosa di più grande, ovvero a vicenda umana più generale, inserita in un determinato contesto storico. In questo è un maestro l’altro ospite d’onore, in videochiamata da Londra.

Hisham Matar, autore Einaudi, nato a New York da genitori libici. Quando lui parla sembra veramente fratello di tutti, soprattutto di chi scrive, come se fossero tutti accumunati dalla stessa sofferenza, che si presenta in forme diverse. Il suo essere cosmopolita (ha vissuto a Tripoli, a Il Cairo) e il suo essere cresciuto dalle donne della sua famiglia hanno acuito la sua sensibilità, i personaggi femminili gli riescono bene. Tutte le parole che escono dalla sua bocca sembrano magicamente quelle giuste, quelle che volevi sentire in quel momento. Matar avrebbe tutte le ragioni per essere arrabbiato col mondo, la sua vita è segnata dall’esilio. Il padre era un oppositore di Gheddafi, motivo per cui lui per trent’anni non è potuto rientrare in Libia. Quando finalmente può rivedere Tripoli, il padre è morto in un carcere per dissidenti. Hisham cerca di metabolizzare questa assenza lunga tre decenni, ricostruendo la figura paterna, tramite le testimonianze di chi gli è stato accanto. Tutto questo è raccontato ne Il Ritorno, con cui Matar ha vinto il Pulitzer nel 2017. Non l’ho ancora letto, l’ho solo comprato, perché conosco già l’umanità che ci troverò dentro. Quello che caratterizza il mondo degli scrittori è l’arroganza, dovuta al fatto che se scrivi un po’ di ego di troppo ce l’hai per forza. Matar, invece, è il ritratto dell’umiltà, mentre presenta il suo nuovo libro Amici di una Vita, appena uscito. Fa sempre parte della sua autobiografia romanzata, ma in questo caso il focus non è lui, ma un fatto, che lui inizialmente apprende dalla TV. A Londra, davanti all’ambasciata libica, è in corso un raduno pacifico anti-dittatura. È il 17 aprile 1984 e dall’edificio d’improvviso partono degli spari che uccidono una poliziotta e feriscono una dozzina di manifestanti. Fra i feriti, ci sono tre giovani letterati, legati da un’amicizia profonda – che è il cuore del libro -, che cercheranno di capire come poter scrivere ancora, dopo quanto hanno vissuto. Uno di loro negli anni a seguire si legherà a Matar, facendo diventare anche lui l’amico di una vita. Si parla anche molto di ciò che i regimi dittatoriali ti tolgono, la spensieratezza, oltre alla serenità. Nel Regno Unito, prima della manifestazione che li cambierà, i tre cercano di riappropriarsi di quello che rimane della loro giovinezza, proprio quel 17 aprile stavano andando nei pub e nei locali con spogliarelliste, cose che a noi appaiono normali, a molti persino maleducate e superficiali, eppure sono frutto della libertà. La libertà negata ai sudditi, a chi è in esilio.
Come se la presentazione non fosse abbastanza intensa, Matar non stava facendo un monologo, ma stava dialogando con la scrittrice e sceneggiatrice, Antonella Lattanzi, che l’anno scorso ha pubblicato Cose che non si raccontano, dove descrive nei dettagli la vana ricerca di un figlio, di una gravidanza, un dolore e una speranza condivisi con il suo compagno Andrea. Quando avrò finito di leggerlo, ci scriverò qualcosa, promesso.

Concludo questo diciottesimo con la dedica che lei mi ha lasciato sul suo libro, sperando che arrivi ai Mercuziani e oltre:
A Cecilia,
con speranza e luce
Articolo firmato: La Gagliarda

