DI PIETRO BERRUTO
Apportare un elemento di orrore a un contesto di guerra e violenza non è una dinamica inventata da poco: soprattutto dopo la guerra in Vietnam, sorge un topos di revisione dei conflitti violenti e diventa evidente come facilmente si possa discendere in una spirale di follia e paura. Un chiaro esempio di ciò è, naturalmente, Apocalypse Now, film in cui la guerra trascina nell’oscurità la psiche di tutti coloro che vi partecipano, rendendoli lentamente sempre più brutali, bestiali o crudeli. Con Vietnam Horror (titolo piuttosto esplicativo), Massimo Rosi e Vito Coppola scelgono, non solo di inserirsi in quella nicchia tematica, ma anche di rincarare la dose, portando il perturbante in una direzione nuova.
L’albo, diviso in quattro capitoli, è in bianco e nero: ammetto che, per quanto spesso la bicromia sia spesso associata alla narrativa dell’orrore, in questo caso, a causa dell’ambientazione tropicale, sarebbe stato meglio puntare sul colore, per accentuare i toni cromatici inquietanti della giungla e dei pigmenti del sangue. La storia segue un accampamento dell’esercito americano ai piedi di una montagna, i cui membri sono tormentati da incubi di morte e malattia: i protagonisti sono il soldato Colton, il maggiore Tundo e il sergente Ramirez; tutti e tre faticano giorno dopo giorno a sopravvivere in una situazione più che precaria. Gli incubi, però, si realizzano: una strana forza legata a una misteriosa setta che vive sulla montagna sembra possedere gli altri soldati, che ora minacciano i loro stessi commilitoni.

Vietnam Horror affonda radici ovunque nel genere: l’ambiente chiuso e di rivolta interna ai corpi stessi dei soldati ricorda classici del body horror come La cosa e Alien e, allo stesso tempo, permette di mostrare le fragilità dei personaggi, che emergono a causa dello stress provato durante gli eventi. Per quanto l’horror sia introdotto fin da subito, esso prende il sopravvento nella storia abbastanza lentamente, lasciando invece spazio alle molto più realistiche scene di atrocità tipiche del periodo, come le trappole nascoste e le improvvise scene di combattimento; quando però il fantastico è introdotto, esso si connette con il passato e il carattere dei personaggi, come nel caso di Colton, costretto a rivivere un crimine che ha commesso in passato, ancora e ancora.
Il motivo per cui lo spirito della montagna attacca gli americani è ovvio: essi sono invasori, venuti ad assicurare l’influenza del loro Stato in quel territorio con la forza bruta e la stessa natura si ribella contro di loro. Sono gli stessi soldati a venire posseduti, affermando, ironicamente, che loro stessi sono la causa della loro rovina e che il soprannaturale serve solo a esplicitare l’orrore. Alla fine della storia, anche se si riesce a sopravvivere, non si esce mai veramente dal vortice di violenza che ormai infesta la mente di tutti coloro che hanno assistito agli eventi di questa guerra.
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