DI ALBERTO GROMETTO
Trent’anni sono tanti, tantissimi. Diciamo pure che sono lunghi una vita e mezza! Ed è proprio di Vita e di Morte quello di cui ha cantato e narrato tantissime volte il Maestro Burton, TIM BURTON.
La sua lunga carriera è stata tra le più prolifiche possibili. Ma dopo diciannove produzioni cinematografiche, giunto alla ventesima, Tim sente di volersi guardare indietro e vedere da dove è partito.
Beh, lui è partito da qui. Da «BEETLEJUICE». Se non fattualmente, quantomeno idealmente. Sì, perché il capolavoro super-cult del 1988 è la pellicola che lo ha lanciato in orbita, la prima vera occasione che lui ha avuto per dare libero sfogo al suo talento e alle sue capacità creative, in tutta la loro visionaria ed eccentrica follia!!!
Trentasei anni dopo, tutti conoscono Tim e sanno che cosa ha realizzato, il suo stile autoriale ha fatto scuola ed è diventato iconica leggenda, la sua visione è talmente riconoscibile che un termine è stato coniato appositamente per lui: BURTONIANO.

Ma tutto partì da quella fossa che veniva scossa e da cui usciva un frenetico terremoto pieno di vita, gioia, pazzia e allegria quale il mortifero demone impersonato da un gigantesco MICHAEL KEATON. E che ancora oggi è capace di giganteggiare.
Ma chi è questo morto defunto così pieno di ritmo, vita ed energie? Beh, ma è chiaro! È Beetlejuice! Chi? Beetlejuice! Come hai detto? Beetle… oh cavolo, meglio che stia zitto, altrimenti alla terza volta che lo nomino quello compare e porta scompiglio, disordine e caos ovunque si trovi!
Negli anni ’80 tutti ancora dovevano conoscere quello stile dark ma al tempo stesso favolistico che ha reso il giovane Tim il Maestro Burton, quel suo modo così unico e originale capace di coniugare il macabro cupo con le fantasticherie tipiche da fiaba, quella sua maniera di narrare in grado di armonizzare Morte e Vita ribaltandone le regole, sovvertendone i principi e mostrando come quello che si crede dell’una e dell’altra può essere davvero molto diverso da ciò che si pensa.
Oggi tutti sanno che il regista californiano è un asso nell’affrontare questi temi che, fin dagli albori, riesce a trattare con un piglio che è tutto, solo, esclusivamente suo. Al punto che è stato parodiato in ogni modo possibile e immaginabile.
Nel primo capitolo Tim invertiva i ruoli e ci mostrava come fossero in realtà i Vivi ad infestare e tormentare i Morti e che quindi fossero i poveri malcapitati defunti a doversi cercare un esorcista (“bio-esorcista”, per rifarci ai termini del film): una brillante idea rivoluzionaria, geniale, innovativa.
E in questo seguito dove sta la rivoluzione, il genio, l’innovazione? Beh, se li cercate, in questo caso non li troverete di certo. Nessuna idea rivoluzionaria né “di rottura” in questo film qua. Non è per quello, del resto, che questo film è stato fatto.
C’è chi dice che è da diversi anni oramai che l’Autore Burton viva di rendita grazie ai suoi gloriosi trascorsi, riposi sugli allori, sia in qualche misura invecchiato. Forse proprio per questo, per mancanza di idee, ha deciso di attingere ai fasti dell’antico successo del tempo che fu e realizzare un sequel del quale, dobbiamo ammetterlo, non sentivamo alcuna necessità. Così facendo, però, conferma nei fatti questa traiettoria (discendente?) del suo percorso artistico-creativo.

Rispetto a quattro decadi fa, quando il Maestro era impegnato a realizzare pellicole fortissime e nuove che raccontavano qualcosa di originale e che per questo erano rivoluzionarie e diverse da qualsiasi cosa fatta prima, ora quelle stesse idee, per natura stessa del tempo che passa, non sono più nuove né tantomeno rivoluzionarie o diverse. E nei fatti qual è il messaggio, il tema, il cuore che questo “BEETLEJUICE BEETLEJUICE” intende portare avanti?
In parte vengono dette le stesse cose di quarant’anni fa. Vi è sempre lo stesso tipo di operazione narrativa, lo stesso tipo di ribaltamento. La Morte è dura, dice ad un certo punto la ragazzina protagonista del primo film e che in questo seguito è diventata una madre, quella stessa Lydia Deetz che parla con gli spettri e che è sempre impersonata dall’interprete burtoniana WINONA RYDER, a distanza di 36 anni. La figlia le risponde: La Vita lo è anche di più.
D’altro canto, però, non vi è proprio nessun messaggio o tematica di fondo. Perché questo film qua non vuole dire niente, né essere niente, se non semplicemente quello che è: un divertimento realizzato per intrattenere. O un intrattenimento realizzato per divertire. E basta, nient’altro.
Quel tipo di comicità esilarante, quel tipo di immaginario visionario, persino quel tipo di interpreti (abbiamo citato Ryder e Keaton, ma possiamo aggiungere pure CATHERINE O’HARA, anche lei interprete già nel primo film) ci sono ancora, sono quelli del primo film, ma senza i caratteri rivoluzionari, nuovi, diversi, innovativi e “di rottura” che avevano caratterizzato quella pellicola.
A tutto questo s’aggiungono altre “BURTONATE” che sicuramente fan ridere tantissimo e non annoiano per niente, ma che rimangono dei divertissement fini a sé stessi. Come ad esempio i momenti musical, o il macabro unito al gusto del comico, oppure certi nuovi interpreti. Tipo JENNA ORTEGA, che interpreta la figlia di Lydia, e che è passata agli onori della cronaca proprio grazie al recentissimo successone Netflix burtoniano “MERCOLEDÌ”. Oppure la nuova fiamma romantica di Tim, quella MONICA BELLUCCI che compare nel film perché è la nuova fiamma romantica di Tim e non perché il suo personaggio serva realmente a qualcosa nell’economia della pellicola. O ancora, c’è pure lui!, quel monumento di recitazione che è WILLEM DAFOE, che è esilarante e spassosissimo, ma che è nel film più per far ridere che… che per qualsiasi altra ragione.

La cosa più nuova di questo sequel rimane, forse, la performance inaspettatamente comica di JUSTIN THEROUX, che dovrebbe in linea teorica fare la parte del gran bastardo (e forse lo è?), ma che invece tira fuori un personaggio talmente stupido e sciocco e cretino che… che fa ridere ogni singolo secondo in cui appare sullo schermo. E, se per questo, credo meriti di essere segnalato pure il character del reverendo, che strappa diversi applausi.
E poi? Che altro c’è? Burton che fa Burton, diciamo. Che si guarda indietro, e poi decide di riproporre i suoi vecchi cavalli di battaglia. Nulla di nuovo, nulla di diverso, nulla di troppo memorabile.
Ma allora… allora perché correre in sala a guardarlo già il primo giorno?
Perché si tratta di Tim. Perché è Beetlejuice. Perché non possiamo farne a meno.
Esistono Autori che sono stati capaci di forgiare epoche, momenti, generazioni. E quella Grandezza non potrà mai morire, né tantomeno invecchiare. L’uomo subisce il peso del Tempo che scorre, certo. Ma la sua Leggenda, oh, quella no. Le Leggende non conoscono l’incedere del Tempo. Le Leggende vivono al di là delle stesse persone che le hanno plasmate, superano i limiti e i confini propri dell’Umano e muovono le azioni della gente.
Non importa siano passati 4 o 40 anni.
Non importa se il film fa ridere e basta, o se invece è un memorabile capolavoro.
Non importa nemmeno se Tim sia davvero invecchiato e se sia stanco, oppure no.
Fino a quando farà film, pur non avendo niente da dire, Noi lo staremo a sentire. Lo staremo a sentire perché ci ha donato la capacità di sognare, perché ha segnato le nostre Vite, perché in passato ha cambiato la Storia. E se tu cambi la Storia una volta, sia pure 40 anni fa, è come continuassi a cambiaria per sempre.
E quindi correremo in massa a vedere il tuo ultimo film, Tim: e ci emozioneremo, e ci sbellicheremo e ci spelleremo le mani a forza di applaudire divertiti. È quello che abbiamo fatto, del resto.
E quindi sì, ho detto che era meglio non farlo, ma Noi quel caos, quel casino, quello scompiglio lo vogliamo eccome nella nostra vita, in pieno stile “Burton”: sì, io lo voglio gridare…
BEETLEJUICE – BEETLEJUICE – BEETLEJUICE!!!


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