DI ALBERTO GROMETTO
Uno dei miei personali Maestri in fatto di Cinema, e che noi qui in questa sede chiameremo semplicemente “Magnifico Mentore”, parlando di questo film disse che era una delle più belle pellicole di tutta la Storia del Cinema Italiano. Per lui la più bella. E come dare torto al Magnifico Mentore!
“Una Vita Difficile” dell’eccelso Dino Risi, targata anno 1961, è davvero una delle più grandi opere cinematografiche mai realizzate. In Italia e nel mondo, negli anni ‘60 così come in ogni altra epoca. Il protagonista è interpretato da colui che per me è il più grande attore italiano mai esistito: Alberto Sordi. Mai il film sarebbe potuto essere lo stesso senza il Grandioso e Glorioso Albertone! Parte fondamentale della grandezza di questa pellicola posa sulle sue spalle. Merita indubbiamente di essere citato anche il geniale sceneggiatore Rodolfo Sonego, tra i più grandi artefici della commedia all’italiana che ha sempre saputo far ridere e piangere insieme, divertire e allo stesso tempo farci malinconicamente riflettere. Ed è quello che succede anche con questa piccola perla. Si ride, tanto. E si riflette, tanto.
Scendere a compromessi. Ho sempre trovato interessante questa espressione. Soprattutto trovo interessante la parola “Scendere”. Bisogna abbassarsi, andare giù, chinare la testa se si vuole vivere bene a questo mondo?
È necessario venire meno alle proprie idee, abbandonare i propri ideali, a favore di esigenze pratiche? È questo il tema centrale del film.
Perché è molto bello credere in qualcosa e lottare per ciò che è giusto, ma se poi non mangio come faccio a tirare avanti? Ma d’altro canto, che senso ha credere in qualcosa se poi non posso difendere i miei ideali?
E mettiamo anche che decida di smettere di mangiare per inseguire le mie idee, devo però pensare anche a chi mi sta accanto. È giusto che i miei figli non mangino e crescano privati di tante opportunità a causa delle mie lotte personali? D’altra parte, cosa insegno ai miei figli se mi abbasso e non faccio quello in cui credo? Gli insegno a inginocchiarsi, ecco cosa gli insegno. Gli insegno che conta solo l’obbiettivo pratico e la sostanza in questa vita. Ma allora come fare? Purtroppo è così che è fatto questo nostro mondo: difficile e, soprattutto, incapace di darti risposte univoche e chiare. Nessuna risposta a questi nostri dilemmi, nemmeno da parte del film vengono infine date delle soluzioni. È la Vita, è difficile, è fatta così.

A inizio pellicola siamo nell’Italia smarrita e dilaniata dalla Seconda Guerra Mondiale, si è passati da “Vincere e vinceremo” alle scritte “Via i Tedeschi” sui muri, è l’epoca della resistenza partigiana; alla fine ci ritroveremo nell’Italia a tutta birra del boom economico di inizio anni ‘60. Vediamo andare in scena un ventennio di storia italiana e, insieme, una storia profondamente umana e eternamente e dannatamente attuale, come quella di Silvio Magnozzi, un uomo che preferirebbe non “magnare” piuttosto che venire meno a sè stesso e a ciò in cui crede fermamente. Ma c’è un piccolo particolare che ostacola la sua lotta: la Vita. Si innamora, il nostro Albertone/Silvio, si innamora, ricambiato, di una donna magnifica, che per lui ucciderebbe (e chissà che non lo faccia davvero nel corso del film) e che è pronta a stargli accanto, anche se la porta a vivere in una mezza topaia sconquassata. Quella donna si chiama Elena ed è interpretata da una splendida Lea Massari. Diverrà sua moglie e madre di suo figlio. Per Magnozzi le cose si complicheranno quando contro di lui ci si metteranno i potenti, quegli stessi potenti che per fargli fare come vogliono loro sono pronti a dargli milioni, milioni che lui recisamente rifiuta. In una scena indimenticabile Silvio spiegherà al figlio Paolino che gli vennero offerte cifre da capogiro che li avrebbero resi ricchi. Il bimbo allora chiede cosa abbia risposto. E il nostro Albertone dice “Eh, ho detto no” con quella faccia da cane bastonato che era tutta sua e solo lui era capace a fare. Italia smarrita, dicevamo. Non a caso, fateci caso, per tutto il film, sin dalla sua prima apparizione, il nostro Sordi va da una parte e gli viene detto di andare dall’altra: cioè egli sbaglia sempre la direzione nella quale deve andare nella vita.

Tutte scene una più formidabile e indimenticabile dell’altra dall’inizio alla fine, una sceneggiatura che è un capolavoro, una regia dinanzi a cui inchinarci, personaggi a dir poco perfetti, Albertone è un fiume di risate e insieme foriero di malinconiche riflessioni, un film che ha fatto la Storia raccontando l’Italia e insieme Magnozzi per narrarci la Vita.
Mi permetto di citare ancora un momento, tra tutti. Quella che il Magnifico Mentore definiva una delle scene più belle di tutto il cinema italiano. È il 2 Giugno 1946, è il Referendum Monarchia-Repubblica. L’Albertone Nazionale e la sua amata hanno fame, e da tanto tempo. In trattoria, tipico luogo di italianità, vengono cacciati via in malo modo. Per una fortuna fortuita incontrano un amico della madre di lei, marchese, che li invita ad unirsi a loro a cena in attesa dell’esito del referendum: che bello, finalmente possono soddisfare la loro fame arretrata! Peccato che i “loro” a cui unirsi a cena sono monarchici che sperano con ansia di veder trionfare il Re. Riuscirà il nostro Magnozzi, repubblicano convinto, a mettere a tacere le sue idee e i suoi ideali per poter far magnare lui e la sua bella? Non voglio svelare altro, senonché si tratta di una scena stupefacente, che ci insegna come vi siano delle piccolissime cose che ti rimangono nella vita e nei ricordi. Non serve una grande scena epocale in pompa magna per raccontare cosa successe durante il Referendum del 2 Giugno, ma basta la piccola quotidianità dei gesti di tutti i giorni, perché poi tanto piccola quella quotidianità non è. È la nostra vita, difficile certo, ma nostra.
Basta la piccola quotidianità dei gesti di tutti i giorni, perché poi tanto piccola quella quotidianità non è. È la nostra vita, difficile certo, ma nostra.


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