LA CLASSICA CLASSIFICA!!!
Quando si parla di classifiche noi di «Mercuzio and Friends» siamo i primi a dire che queste manipolano la realtà dei fatti, sono totalmente arbitrarie, assolutamente inaffidabili ed infedeli, e soprattutto sono incapaci di tradurre la ben più stratificata complessità intrinseca della verità. Eppure io amo le classifiche!
L’amore è cieco, dice qualcuno. Ma forse in realtà è stupido. Perché io li vedo chiaramente i difetti di cui sopra, sono tutti lì davanti a me. Ma quando mi imbatto nella più classica delle classifiche, il mio cuore si scioglie.
Dunque inaugurando il nostro piccolo angolo di mondo dedicato alle CLASSICHE CLASSIFICHE, ho deciso di iniziare da quello che è uno dei miei più gloriosi e grandiosi idoli: un interprete di monumentale immensità capace di dare vita ai più svariati personaggi, in grado di tradurre la più infinitesimale delle emozioni con un semplice sguardo, colui che ai miei occhi è ancor oggi il più straordinario attore italiano che mai abbiamo avuto.
Iniziamo dunque in tutta fretta con la CLASSICA CLASSIFICA DEI DIECI PIÙ GRANDI FILM DI ALBERTO SORDI!!!
Albertone, anche questa volta, facce sogna’!
MENZIONI SPECIALI:
Prima di procedere con questa nostra TOP TEN, mi pareva doveroso, a livello etico e morale perfino, menzionare due interpretazioni attoriali eterne targate ALBERTONE. Anche perché, si sa, quando si stila una classifica bisogna fare delle scelte, alcune costano fatica, altre sono un vero e proprio doloroso massacro. Per questo, non rientrando in classifica, ho ritenuto giusto quantomeno citare queste due performance sordiane.
Innanzitutto Ferdinando «Nando» Mericoni, protagonista di un cult che ha reso il nostro Alberto monumento internazionale. Stiamo parlando del protagonista del film «Un Americano A Roma» del 1954, regia di Steno. Trattasi di un “Romano di Roma”, ragazzo italiano di Trastevere nella realtà, cittadino americano a stelle e strisce nello spirito. La sua esistenza si può riassumere con quanto segue: cappello da baseball, jeans, motocicletta Harley-Davidson, tanto cinema hollywoodiano, slang americano con accento romanesco ed improbabili espressioni in un inglese estremamente raffazzonato. E soprattutto una profonda passione per gli Stati Uniti ove vorrebbe vivere ed è convinto vivrà, un domani. Epica la scena dei maccheroni che Nando recisamente rifiuta. «Io non magno macaroni, io so’ amerecano so’!». Dopo poco però ci ripensa. «Maccarone… m’hai provocato e io te distruggo adesso, maccarone! Io me te magno!».
Il Principe Giovan Maria Catalan Belmonte. La pellicola di provenienza è un film collettivo a episodi targato anno 1977 e diretto da tre immortali Maestri italiani: Mario Monicelli, Dino Risi ed Ettore Scola. Sto parlando de «I Nuovi Mostri» e l’episodio in particolare è «First Aid (Pronto Soccorso)». Quando ci si trova alla presenza di un personaggio di questo tipo, le parole davvero non bastano, non esistono termini sufficienti. I suoi dissacranti logorroici discorsi, le sue assurde affermazioni pronunciate con profonda convinzione, il suo eccentrico ironico istrionismo. Non è uno dei cattivi, non mi sentirei di definirlo uno dei mostri. Ma non è senz’altro uno dei buoni. Credo Egli incarni la ragione per la quale le cose non cambieranno mai. Una personalità veramente straordinaria: l’episodio non arriva al quarto d’ora, ma vi farà male la mascella da quanto vi farà ridere. Riporto una parte di uno dei suoi molteplici discorsi per farvi capire di che pasta sia fatto: «Feci il navigatore solitario. Giorno e notte, fra cielo e mare, mare e cielo. In questa natura, padrone del mondo. Lei non sa cosa vuol dire il navigatore solitario. Solo, nell’immensità del mare, in assoluta meditazione, a contatto della natura più pura, è allora che capisci… quanto sei stronzo, a compiere queste imprese, che non servono a un cazzo!».

NUMERO DIECI= LA GRANDE GUERRA (1959), regia di MARIO MONICELLI
Albertone ha sempre incarnato l’italiano vero, il caciarone, quello che tira a campare e dice cose diverse da quelle dette un attimo prima, che fa sempre tutto e il contrario di tutto pur di guadagnarci e/o sopravvivere. Sordi sa essere sempre un italiano italianissimo: è semplicemente perfetto nelle sue movenze, che sia una corsetta o un semplice gesto con la mano fino ad arrivare a tutta la sua infinita gamma di espressioni facciali. Talvolta però questo italiano sordiano sa anche essere maledettamente malinconico, a volte buffo e tenero e altre capace di gesti eroici improvvisi. Tutto ciò rientra nel suo personaggio in questa immortale pellicola dell’Assoluto Eccelso Mario Monicelli, e cioè il romano Oreste Jacovacci, protagonista accanto all’amato e odiato compagno amico-nemico milanese Giovanni Busacca, portato in scena dal sempre intramontabile Vittorio Gassman. Leone D’Oro a Venezia, annoverato tra i più grandi film del cinema italiano e considerato inoltre uno dei più straordinari capolavori del genere bellico di tutti i tempi in qualsiasi nazione, se volete ridere e poi anche piangere e infine gioire beati per le performance di due dei più celestiali attori di tutto il panorama cinematografico mondiale, questo è il film che fa al caso vostro.

NUMERO NOVE= IL PROF. DOTT. GUIDO TERSILLI PRIMARIO DELLA CLINICA VILLA CELESTE CONVENZIONATA CON LE MUTUE (1969), regia di LUCIANO SALCE
Sequel di quella perla de «Il Medico Della Mutua» di Luigi Zampa dell’anno prima, personalmente trovo che questa pellicola targata Er Geniaccio superi addirittura l’illustre predecessore! Siamo alla presenza dell’Alberto Sordi nella sua massima espressione dell’italianità piccola, gretta, meschina, arrivista e disposta a tutto pur di ottenere ciò che desidera. Guido Tersilli è il prototipo del calcolatore il cui scopo principale è risparmiare il più possibile per guadagnare il massimo. Albertone è un colosso nel portare in vita personaggi di questa categoria, rappresentanti da una parte di una pochezza di valori agghiacciante, dall’altra di un’irresistibile comicità dinanzi alla quale non si può non applaudire. Si ride e si ride tanto di fronte alle più basse, piccole, infide azioni del Dott. Tersilli che, marciando gioioso per la sua clinica, fa tutto quello che può, ma proprio tutto, per mettersi in tasca il più possibile.

NUMERO OTTO= IL VIGILE (1960), regia di LUIGI ZAMPA
E qui vediamo l’Albertone Nazionale fianco a fianco con il suo Mentore, con il suo Magister, con il suo Padre Artistico: il Maestro Vittorio De Sica. Cineasta per eccellenza, oggi la Settima Arte italiana, nel mondo tutto, non sarebbe la stessa senza di lui. Vittorio e Alberto c’hanno regalato interpretazioni memorabili e pellicole una più bella dell’altra, come questo film qua. La storia del bistrattato e spassosissimo Otello Celletti che riesce ad ottenere la sua grande occasione di riscatto diventando vigile, ma solo dopo aver ripetutamente ed insistentemente tormentato il sindaco De Sica, figura infida ed ambigua ma anche assai sventurata giacché ha avuto la terribile sfortuna di imbattersi nel Tornado Sordi, il quale combina pasticci a non finire. Però una volta arrivato là dove voleva giungere, a Otello non è più chiaro cosa sia bene e cosa male. Non è colpa sua, non lo fa con cattiveria, è che proprio non ci capisce più niente in una realtà ipocrita e opportunista come quella in cui si ritrova a vivere, che gli dice una cosa e poi ne fa un’altra. Quante risate, gente!!!

NUMERO SETTE= MIO FIGLIO NERONE (1956), regia di STENO
Sarà che io ho sempre amato, da che ne ho memoria, l’Antica Storia di Roma la Grande, ma di fronte a questa pellicola non posso che sciogliermi. E poi c’è lui al centro, lui è l’attore protagonista, lui che è tra i miei più grandi idoli. Ad Albertone non è mai piaciuto questo film, si vocifera che avesse abbandonato la proiezione a metà, durante il Festival di Venezia in cui venne presentato in anteprima assoluta. Eppure, Roma e Sordi a parte, io ritengo questa una pellicola dal ritmo veramente indiavolato, dallo spasso assicurato, allegra e divertente e comica fino all’estremo, ma in maniera intelligente, acuta, brillante e spesso anche inquietantemente ambigua. Ripenso al finale che è tutto tranne che rassicurante, giunge a sorpresa e, sicuramente, dopo aver riso tanto, una conclusione del genere è decisamente inaspettata. Per chi ama la Storia poi, non ci si può esimere dal ritenere questo film geniale nell’andare a prendere quella che è stata la celebre vicenda del controverso e folle Imperatore romano Nerone, della sua corte e della sua illustre famiglia, la Gens Giulio-Claudia, tra i miei argomenti storici preferiti in assoluto. Accanto ad un Alberto folle, istrionico, bambinesco e irritabile, con l’occhio pazzo come solo lui sapeva fare e sempre pronto a cantare, inconsapevole che tutti quanti sian convinti che canti «come un cane», abbiamo di nuovo lui, il suo Maestro nei panni del suo Maestro: Vittorio De Sica interpreta un Lucio Anneo Seneca, che di Nerone fu Consigliere e Precettore, magnifico e favoloso nel suo essere un falso, opportunista, arraffone, manipolatore e soprattutto buffonesco pagliaccio. Se poi ci mettiamo Agrippina Minore, la feroce, crudele e spietata madre di Nerone, resa immortale da quella Gloria Swanson che sa sempre essere immensa, allora il gioco è fatto. Lodando la cura del dettaglio scenografico e storico, sottolineando ancora una volta la brillantezza della sceneggiatura e della regia e applaudendo anche a tutte le altre interpretazioni non citate, come quella dell’amante dell’Imperatore Poppea interpretata da Brigitte Bardot e dello sventurato e maltrattato braccio destro neroniano e cioè l’Aniceto di Ciccio Barbi, raccomandiamo calorosamente una pellicola che costituisce per me una delle più straordinarie opere cinematografiche mai realizzate sulla Roma Antica, capace di raccontare la Storia attraverso uno sguardo preciso, divertente ma non per questo meno autorevole.

NUMERO SEI= IL CONTE MAX (1957), regia di GIORGIO BIANCHI
Di nuovo loro due, di nuovo insieme: più che una coppia di interpreti eccezionali, un mentore e un allievo, un padre e un figlio, Vittorio e Alberto. E qui De Sica, nobile spiantato, incarna un maestro ridicolo e scroccone, per quanto in fin dei conti affettuoso, per il nostro Sordi edicolante bramoso di saggiare la grandezza della nobiltà. Essere, senza esserlo, il Conte Max Orsini Varaldo, nome altisonante di cui si riempie la bocca tutto il tempo il nostro Albertone: lui desidera la nobiltà, anche se finta, anche se passa attraverso la bugia, la menzogna, l’inganno e tanti pasticci che lo fanno finire in altrettanti guai in salsa Sordi, naturalmente. Come per quasi tutti i film analizzati finora in questa nostra classica classifica, le risate raggiungono livelli vertiginosi proprio in quanto accompagnate da profonde e lucide riflessioni consapevoli. E poi, diciamocelo, quanto è bello vedere quei due geniali mattacchioni uno accanto all’altro ancora e ancora e ancora: viva Vittorio De Sica, viva Alberto Sordi, viva il Cinema!!!

NUMERO CINQUE= IL MARCHESE DEL GRILLO (1981), regia di MARIO MONICELLI
Mario Monicelli è un Genio. Punto. Non c’è altro da aggiungere. In Italia e nel mondo, parlando dei tempi passati, sempre si citano nomi del calibro di Vittorio De Sica, Federico Fellini, Luchino Visconti, Roberto Rossellini… e questo va bene, anzi benissimo. Trattasi di geni, l’uno più straordinario e brillante dell’altro! Ma Monicelli, noi qui di «Mercuzio And Friends», sempre lo celebreremo più di quanto fanno altri amanti della Settima Arte. E questo perché Monicelli non è stato meno di tutti i nomi che ho precedentemente citato e, anzi, Egli ha saputo realizzare pellicole così diverse l’una dall’altra, così diverse nel loro modo di andare a toccare le corde emotive dell’animo umano, così diverse da qualsiasi altro film mi venga ora in mente eppure tutte talmente straordinarie e uniche da lasciare ognuna un segno indelebile in chi ora vi sta scrivendo. Con Albertone Monicelli ha realizzato tra i più grandi capolavori del cinema mondiale (sì, qui lo dico e lo ripeto: mondiale!), come questo film qua. Quando si pensa a Sordi, subito per prima cosa vengono in mente un paio di interpretazioni impresse a fuoco nell’immaginario collettivo. Una di queste non può non essere il Marchese Onofrio Del Grillo: nobile nella Roma papale del 1809, senza alcun problema al mondo, felice di trascorrere le sue giornate tra ozio, bettole ed osterie. Ma ciò che davvero più lo appassiona e per cui spende e spande denaro a non finire sono le sue burle: ama fare scherzi dei più provocatori, spassosi ed assurdi, senza subirne alcuna conseguenza. Quando poi entra in scena il suo sosia, Gasperino il Carbonaio, la beffa assumerà contorni epici. Come dice il Marchese: «Ma io so’ io… e voi non siete un cazzo!».

NUMERO QUATTRO= UNA VITA DIFFICILE (1961), regia di DINO RISI
Il Maestro Dino Risi è un altro di quei geni fenomenali che meglio di tanti e tanti altri ha saputo raccontare l’Italia ma soprattutto, in realtà, in questo modo, assurgendo al ruolo di narratore della Vita e dell’Umanità intera, nelle sue contraddizioni, nelle sue ambiguità, nel suo essere bella ma anche molto brutta. Raccontando un ventennio di storia italiana, dalla resistenza partigiana sorta durante la Seconda Guerra Mondiale fino all’incredibile Boom Economico di inizio anni ’60, viene messa in scena la vicenda di un uomo che ha dei valori e degli ideali per cui brama combattere, ma purtroppo deve fare i conti con una cosa chiamata “realtà della vita”: ha una moglie e un figlio, abita qui su questa Terra come tutti noi, e come tutti gli uomini ha bisogno di mangiare. Fin dove lo può portare la sua lotta se poi non riesce a campare? Un film che ti racconta cosa significhi davvero dover scendere a compromessi.

NUMERO TRE= POLVERE DI STELLE (1973), regia di ALBERTO SORDI
Non solo attore, ma anche virtuoso sceneggiatore e brillante regista meritevole di immani ed ammirate ovazioni e autore di alcune veramente fenomenali pellicole. Tra tutte e su tutte un sottovalutato e sottostimato capolavoro. Esatto, sottovalutato e sottostimato: perché non ho mai visto neanche l’ombra di questo titolo in un elenco, una lista o una classica classifica delle più grandiose perle italiane. Eppure trattasi di un gioellino dove malinconica tristezza e spassosa comicità si mescolano e si sovrappongono l’una all’altra. «Polvere Di Stelle» ci racconta la storia con la esse minuscola di due individui apparentemente piccoli come i coniugi Mimmo Adami e Dea Dani che si incontra, si scontra e si riflette con la Storia con la esse maiuscola dei grandi eventi che sconvolsero l’Italia negli Anni Quaranta del secolo scorso. La vicenda parte dal 1943: è l’epoca della Seconda Guerra Mondiale, dei bombardamenti, dell’armistizio e della successiva occupazione nazista, della liberazione italiana per opera delle truppe degli Alleati anglo-americani. Hanno una loro sgangherata compagnia d’avanspettacolo di quart’ordine, i teatranti Mimmo e Dea, interpretati dal nostro Albertone e da colei che, più di qualsiasi altra, è stata l’attrice con cui lui ha preferito lavorare in vita sua, la sempre splendida ed eccezionale Monica Vitti. La loro sfortunata storia, intrecciandosi con quella dei Grandi Eventi, porta questo ridicolo gruppo da un fallimento all’altro, finché non arriva un cambiamento. Ma sarà davvero questa una fortuna? È un film che ci mostra qualcosa di veramente molto importante e cioè come a volte, nella vita, succeda che per un nonnulla, uno sfarfallio, un battito di ciglia, ti ritrovi in una situazione inspiegabile e inimmaginabile e magari era quello che credevi di aver sempre sognato. Ma come ti ci sei trovato, con la stessa rapidità, le condizioni cambiano da un giorno all’altro, e ci si deve svegliare. Sulle note di una delle più straordinarie canzoni mai scritte per un film, «Ma ’ndo Hawaii» realizzata dal noto compositore Piero Piccioni e interpretata da quel duo straordinario che son sempre stati Monica e Albertone, tra i severi soldati tedeschi nazisti e gli allegri e festosi militari anglo-americani, questa pellicola inscena la caducità della Vita e dell’Umano, e ci mostra come siamo veramente piccoli dinanzi a tutto il resto, che di noi fa ciò che vuole, ci può rendere grandi e poi farci precipitare giù, così velocemente da farci sembrare di aver vissuto solo e soltanto un sogno. E cosa resta di noi e di quel che abbiamo forse solo sognato? Polvere, solo polvere. La più bella polvere possibile. Polvere che sa di Stelle. Ma solo polvere.


NUMERO DUE= BELLO, ONESTO, EMIGRATO AUSTRALIA SPOSEREBBE COMPAESANA ILLIBATA (1971), regia di LUIGI ZAMPA
Non è facile spiegare la grandezza di questa pellicola. C’è chi potrebbe sostenere che si tratti di una classica commedia romantica con tanto di classico viaggio “on the road”. Ma io a questo non credo. Io credo che ci troviamo invece in presenza di uno di quei film dopo i quali non sai esattamente cosa hai visto, una di quelle Storie che ti travolgono con una potenza senza pari e un incanto avvolgente. Ti sembra di aver vissuto una vita, ecco. Un pezzo di una vita che non era la tua. Eppure tu senti di aver vissuto qualcosa che, benché non tuo, parlasse anche di te. Perché ognuno di noi nella sua vita si è sentito un po’ solo, forse anche tanto. Perché ognuno di noi nella sua vita ha avuto modo di conoscere cosa fosse essere abbandonati a se stessi, in balia delle avversità, e senza nessuno a cui potersi aggrappare. Perché ognuno di noi nella sua vita deve aver trovato, anche se per poco, anche se magari era solo un mero inganno, qualcuno e in quel Qualcuno ha trovato la Vita. Quel Qualcuno gli ha riempito la Vita. Credo che racconti tutto questo, tale pellicola. E lo racconta con una gioia esplosiva, un tremendo dolore e una malinconica dolce sofferenza come pochi altri film hanno mai fatto. È Amore Vero verso la Vita quello che traspare da questo capolavoro cinematografico. Bellissimo, doloroso, ma necessario in qualche modo e misura. Il protagonista è quel povero sventurato diavolo di Amedeo Foglietti, magistralmente interpretato da un Sordi che mostra qui di essere uno di quegli attori semplicemente immortali, che con il regalo della loro esistenza han dimostrato che non possono andarsene mai, anche quando se ne vanno davvero. Amedeo, emigrato italiano, solo, nella remota ed esotica terra australiana da ormai due decenni tondi tondi, in cerca dell’amore, le prova tutte per trovare il suo Qualcuno, una donna da amare e che lo ami. Risparmia quel che può da tutta una vita; si mette il vestito bello e ogni Sabato sera parte per la grande città lasciando il suo villaggetto «Bun Bun Ga» che conta 15 abitanti solo per cercare di trovare un’italiana che si innamori di lui; tramite un sacerdote missionario inizia corrispondenze con donne dalle quali, dopo aver mandato la sua fotografia e spiegato quando guadagna, riceve netti rifiuti. La situazione è così da una vita. Almeno fino al giorno in cui non decide di mentire e mettersi nei guai, come solo il nostro Albertone saprebbe fare. E di questo gli siamo grati, perché altrimenti non ci sarebbe stata la storia. Infatti il nostro pensa ben bene di mandare la foto del suo ben più seducente e affascinante amico, che ha avuto successo più di lui in tutto, in amore e in affari, e si spaccia per lui. Trova così una donna bugiarda e disperata quanto lui, interpretata da un’egregia Claudia Cardinale, trattasi della prostituta Carmela che ben si guarda dal rivelare quale sia la sua professione. La verità rimarrà segreta per buona parte del film e Amedeo, fingendo di avere il compito di portare la bella italiana dal suo futuro marito, spera di riuscire a sedurla strada facendo. Non credo ci sia da aggiungere altro. Se non questo: se trovi qualcuno che è solo e disperato come te, come tutti noi fondamentalmente, ma che con te sta bene, e anche quando sta male si trova bene insieme a te, allora fa in modo di voler stare con quella persona sempre, tienitela stretta e non lasciarla andare mai.


NUMERO UNO= UN BORGHESE PICCOLO PICCOLO (1977), regia di MARIO MONICELLI
Qui signore e signori, niente risate. Forse non ve l’aspettavate, ma in cima alla classifica dell’Imperatore Romano Della Risata non vi è proprio niente da ridere. Non si ride davanti a questo film. È impossibile riderci sopra. Se dinanzi a tutte le pellicole passate in rassegna, si rifletteva tanto, talvolta amaramente, ma non senza comunque sganasciarsi a crepapelle di fronte all’istrionico talento comico del Mitico, qui neanche il minimo ombroso accenno di risata. Si soffre come non mai, ma di una sofferenza talmente dolorosa che le parole non bastano a descriverla. Sempre Albertone e sempre lui, quel Magistrale Mario Monicelli con cui tanto il Nostro ha lavorato, divertito e fatto ridere. Eppure qui fanno qualcosa che non avevano mai fatto. E che, a mio parere, nessuno è stato mai capace di replicare in nessun altro film di nessun’altra Nazione di nessuna epoca. Quando io penso ai cento capolavori più straordinari di Tutti i Tempi di tutta quanta la Storia della Settima Arte, non posso esimermi dal pensare anche a tale pellicola. Monicelli e Sordi prendono quella che è stata, è e sempre sarà la Commedia All’Italiana, che loro hanno contribuito a creare e forgiare, e la uccidono. La pietra tombale di questo filone cinematografico, l’hanno definita i più. Similmente a quanto venne detto sia a proposito della pellicola targata Clint Eastwood «Gli Spietati» («Unforgiven» in lingua originale, intraducibile titolo ma decisamente più parlante e brillante di quello italiano) (1992) per quanto concerneva il prolifico genere western sia riguardo il film di Martin Scorsese «The Irishman» (2019) relativamente al Gangster Movie. Ma questo è qualcosa di più, a mio parere. Qualcosa di indefinibilmente, infinitamente e immensamente più grande. Non v’è Amore, non v’è Speranza, non v’è Vita. Tutto muore in questo film. Perché quando Giovanni Vivaldi, piccolo impiegato ministeriale vicino alla pensione che nella sua piccola vita, nel suo piccolo mondo, col suo piccolo mestiere non ha davvero niente, se non la sua famiglia, si vede morire ammazzato il figlio, per il quale lui e la moglie hanno dato la vita e che già vedevano con un futuro lavoro da ragioniere, tutto gli crolla addosso, e così anche a noi. A che è servita tutta quella piccolezza con tutti quei piccoli sogni, quei piccoli desideri, quelle piccole azioni? Alberto Sordi qui entra nell’Olimpo donandoci la dolcissima e dolorosissima interpretazione di un piccolo individuo con piccoli sogni che viene ammazzato pure lui in quella sparatoria, pur rimanendo in vita e che da allora, per quanto paradossale e grottesco e allucinante possa sembrare, compie per la prima volta azioni grandi: vendetta, tremenda vendetta. Così nascono i carnefici, così nasce la vera sofferenza che tutto distrugge. Non esiste qualcosa che non sia straordinario in questo film. Perché innanzitutto è profondamente e tristemente umano. Si potrebbe parlare della terribile e straziante interpretazione di Shelley Winters, la moglie Amalia; si potrebbe parlare della Regia così geniale ed esplosiva del Maestro Monicelli; si potrebbe parlare del fatto che questa pellicola sia un viaggio in cosa significhi davvero il vero dolore. Ma non diremo nient’altro. Perché non esistono parole. Ma solo quel piccolo uomo con quel suo piccolo cuore morto e con quel piccolo cadavere del figlio che stringeva tra le braccia e che ora ha solo più in testa. E che in faccia ha uno sguardo tutt’altro che piccolo. Ha lo sguardo più grande, mostruoso e grave che possa esistere. Quello sguardo io non lo dimenticherò. Nessuno potrebbe dimenticarlo. Ma come fai, Albertone, a farci così ridere di gusto per tutta la vita facendocela spassare alla grande per poi distruggerci il cuore in questo modo? Solo tu potevi esserne capace. Grazie.
Cosa possiamo ancora dire?
L’unica, sola cosa possibile.
Ci manchi Albertone, ogni giorno.
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