DI EDOARDO VALENTE
C’è un’idea che portiamo con noi, probabilmente dal Romanticismo in poi, per cui la cosa migliore che possa accadere a una fanciulla di bell’aspetto sia morire giovane.
Edgar Allan Poe, ad esempio, nel saggio in cui descrive la composizione della sua nota poesia The Raven ci dice quanto segue: “La morte di una bella donna è indiscutibilmente l’argomento più poetico che vi sia al mondo”.

A questa idea di morte dobbiamo eliminare ogni elemento violento, lasciandone solo la tragica naturalezza. Una malattia, un incidente, un evento infausto.
Una tale disgrazia aveva, in quell’immaginario, una controparte poetica indispensabile: la conservazione della bellezza.
A onor del vero, una tale predilezione culturale per la dipartita prematura affonda le sue radici, naturalmente, nel terreno greco. Sofocle – poi ripreso da Aristotele, e in tempi più recenti da Hölderlin e Nietzsche – fa dire al satiro Sileno: “La cosa in assoluto migliore per te è del tutto irraggiungibile: non essere nato, non essere, essere niente. Ma la seconda cosa migliore per te è morire presto”.

Se un guerriero non muore giovane in battaglia vuol dire che non è stato abbastanza coraggioso. Di contro, il coraggio comporta una certa dose di incoscienza, e per questo agli anziani è riservata la saggezza, per compensare la loro mancanza di bellezza.
Il giovane eroe che muore tragicamente in guerra viene sostituito, nel tempo, dalla giovane donna che muore di malattia, o in seguito a uno sconvolgimento emotivo troppo forte. Entrambe queste figure conservano, però, immutata nella memoria collettiva, la loro bellezza.
Ma io ho pensato a tutto ciò in seguito – è vero – ad un decesso, ma non di una persona giovane. Di recente si è spento all’età di settant’anni l’attore e cantante Björn Andrésen.

Se vi è venuto naturale pensare che, tutto sommato, a settant’anni una persona non è poi così anziana, e che sicuramente avrebbe potuto vivere ancora, non preoccupatevi: è normale pensarlo in una società come la nostra, che non accetta l’invecchiamento, e considera la morte ancora come un tabù.
Ma dunque chi è Björn Andrésen?
Facciamo un passo indietro. Nel 1971 viene presentato il film di Luchino Visconti Morte a Venezia, tratto dall’omonima novella di Thomas Mann. La storia vede protagonista uno scrittore di successo, Gustav von Aschenbach, che si reca in vacanza a Venezia, luogo dove incontra una famiglia polacca e rimane folgorato dalla bellezza di uno dei suoi membri: un ragazzo quattordicenne di nome Tadzio.

Questa vicenda ha un’origine autobiografica nella vita di Mann, che fu costretto a tenere nascosta la sua omosessualità, facendola però trasparire attraverso la sua scrittura. Fu egli stesso a incontrare, in un soggiorno a Venezia, un giovanissimo ragazzo la cui bellezza lo lasciò ammaliato.
Tornano qui, di conseguenza, molti riferimenti alla cultura della Grecia antica. Una cultura nella quale i rapporti tra uomini adulti e giovani ragazzi erano concessi. Per questo Mann, attraverso le parole del suo protagonista Aschenbach, trova nel giovane Tadzio un ideale di bellezza classica.
Ed è anche per questo che, immagina Aschenbach, quel giovane ragazzo, a giudicare dal suo pallido incarnato, sarebbe stato vittima di una morte precoce.
Ad incarnare nella realtà questa bellezza è stato Björn Andrésen. Visconti racconta in un documentario (Alla ricerca di Tadzio) il processo di selezione per l’attore che avrebbe dovuto interpretare il ragazzo nel film. Ruolo che fu affidato all’allora quindicenne Björn Andrésen.

E questa bellezza Björn la incarnerà per sempre.
Il film di Visconti diventa un successo internazionale, e di conseguenza l’immagine di quel giovane, che sarà definito “il più bello del mondo”, conquista i cuori di tutto il globo.
In particolare, la sua bellezza non lascia indifferenti i giapponesi, che ne faranno un archetipo all’interno della cultura manga e anime, a partire dalla Lady Oscar di Riyoko Ikeda, fino al mago Howl di Hayao Miyazaki.

Ma, andando per una volta contro il pensiero greco, non tutto ciò che è bello porta di conseguenza a qualcosa di buono.
Björn Andrésen dovette subito difendersi dai giornali che insinuavano la sua omosessualità, poiché all’epoca fu un elemento considerato scandaloso all’interno del film di Visconti. Dopo anni dovette anche denunciare apertamente la sessualizzazione che fu fatta del suo aspetto durante la sua adolescenza.
Soprattutto, mi viene da aggiungere, Björn Andrésen ha dovuto combattere per tutta la vita con quell’unica immagine che il mondo intero aveva di lui.
Dopo Morte a Venezia, nei successivi cinquant’anni, Andrésen ha recitato in soli nove altri film, l’ultimo dei quali è l’unico che è noto a un pubblico abbastanza ampio: Midsommar. Pellicola in cui ha un ruolo estremamente marginale. Io questo film l’ho visto due volte, ignorando completamente il fatto che quel signore anziano dai lunghi capelli bianchi fosse la stessa persona che, cinquant’anni prima, ha stregato il mondo con il suo viso dai tratti perfetti.


Noi non ricordiamo Björn Andrésen perché è stato un attore, ma perché a quindici anni è stato Tadzio.
Björn Andrésen è morto di recente a settant’anni, ma per tutti noi è morto a quindici anni, nel ruolo di Tadzio; perché non ci interessa la sua bravura attoriale, ci interessa la sua bellezza, l’apice della sua bellezza, che abbiamo immortalato nel 1971.
All’inizio ho parlato della demonizzazione della vecchiaia. È così. Vogliamo vivere a lungo, ma non vogliamo invecchiare. Per gli antichi l’unico modo per non invecchiare era morire giovani. Noi sappiamo che flebili alternative esistono, ma non bastano per liberarci dal fascino della bellezza della giovinezza.
Aschenbach, ammaliato da Tadzio, rivede in lui la giovinezza perduta, e si tinge i capelli, e tenta di imbellettarsi per apparire ringiovanito, ma è tutto inutile.
E anche noi non possiamo far altro che vedere in Tadzio l’eterna giovinezza perduta. Non ci interessa ciò che ha fatto dopo, non ci può interessare. Björn Andrésen ha fatto altri film? Davvero? Non lo sappiamo, non è importante.
Di tutta la sua vita, di quei settant’anni, non restano altro che 130 minuti di immortale bellezza.







