Ebbene sì, questo articolo affronterà un tema tanto delicato quanto amaro. E lo farà attingendo dalla vasta letteratura – scientifica e non – che ha osato toccare l’argomento in passato. Se il titolo vi risuona familiare, non siete in errore: ho voluto omaggiare un autore italiano, Luigi Pirandello, la cui lettura mi ha scosso in profondità. Mi riferisco all’atto unico L’uomo dal fiore in bocca, messo in scena per la prima volta nel 1923, nel quale assistiamo al dialogo tra un Avventore e, appunto, L’Uomo dal fiore in bocca. È un breve testo che con forza ci piazza di fronte alla morte, e ci ricorda dell’imprevedibilità e della caducità della vita. Certo, dalla copertina non si può che intuire vagamente l’oggetto del dialogo: l’uomo dal fiore in bocca è malato terminale di un tumore formatosi nel suo cavo orale. ‹‹La morte, capisce? è passata. M’ha ficcato questo fiore in bocca, e m’ha detto: – Tientelo, caro: ripasserò fra otto o dieci mesi!››. Forse si ha paura di evocarlo esplicitamente con il suo vero nome, da qui la scelta di un titolo così enigmatico. Tuttavia, con un coraggioso atto linguistico, Pirandello all’interno del testo nomina apertamente quel brutto male – epitelioma – come per esorcizzare il timore che tutti proviamo nei confronti di malattie incurabili. Un ‹‹bel tubero violaceo››, ‹‹un nome dolcissimo… più dolce d’una caramella››. Come se la terminologia scientifica lo rendesse meno aggressivo, più avvicinabile. È incredibile come le parole scritte (o declamate ad alta voce) possano agire su di noi: la lettura e l’ascolto, attività che vanno coltivate, allenate; che costano fatica, attenzione, energie, ma ripagano tanto in apertura mentale, capacità di astrazione, creatività. Ciò che vi racconto, cari lettori, ha sempre origine da una lettura o una conversazione, anche di sfuggita, che mi stimolano curiosità. Leggere è come viaggiare, quindi preparatevi a partire anche voi (d’altronde, siamo in piena estate, un bel viaggio ci sta, no?). Destinazione? Lo scoprirete tra un attimo.
(Il Maestro Luigi Pirandello!)
Chiudete gli occhi. Davvero. No, aspettate, avete ragione: se chiudete gli occhi non potete leggere… Allora facciamo così: fate finta di aver chiuso gli occhi.
Corre l’anno 1642. Eccovi, siete proprio voi, Abel Janszoon Tasman, esperto navigatore originario di Groninga, Paesi Bassi. Vi trovate su una nave olandese in spedizione per conto della prestigiosa Compagnia delle Indie Orientali. Da lontano scorgete terra: un’isola si staglia all’orizzonte. Che sia una delle sconosciute terre del Sud, che siete stati mandati a conquistare?
Sbarcate, vi trovate in un mondo nuovo. Decidete di battezzare quest’isola Terra di Van Diemen, ma ben presto la dedicheranno a Voi, signor Tasman. Flora e fauna sono del tutto peculiari: durante una perlustrazione vi imbattete in un mostro orribile, talmente diabolico da definirlo… diavolo! Ma, a ben vedere, è un animaletto carino all’aspetto. Ne hanno pure fatto un personaggio dei Looney Tunes, il noto Taz – Diavolo della Tasmania.
In effetti, se dovessimo descrivere questo mammifero lo potremmo paragonare ad un cagnolino molto, molto arrabbiato [1]. Probabilmente il nome si deve alla loro abitudine – piuttosto discutibile – di emettere suoni terrificanti di notte, fatto che si aggiunge alla loro alimentazione a base di carogne e alla tendenza a mordere i propri simili. Di certo non verrebbe da paragonarli a creature angeliche… Lo si chiama anche diavolo orsino, per l’accennata somiglianza al pelosetto teddy bear. Unica differenza, Sarcophilus harrisii (questo il nome scientifico) è un marsupiale, un dettaglio non trascurabile per noi biologi. Questo lo accomuna a molti altri animali caratteristici dell’Oceania, come i canguri, i koala e i vombati. Tanto unici quanto fragili: essendo specie endemiche, le popolazioni di diavoli della Tasmania vivono in aree molto ristrette dell’isola omonima, il che le rende assai esposte al rischio di estinzione. Ragioniamoci: se un’epidemia decimasse i comuni topolini di campagna in una certa zona del Nord Italia, questi verrebbero velocemente rimpiazzati dai loro “cugini” del Centro e del Sud. La stessa cosa non può accadere alle nostre irascibili bestioline, giacché gli unici esemplari di tale animale abitano solo il territorio della Tasmania, che essendo un’isola è per definizione isolata. Dal momento che in passato si sono già estinte diverse specie proprio in quello stesso continente, recentemente i riflettori sono stati puntati sui diavoli della Tasmania a causa di una nuova minaccia per la loro sopravvivenza. Di cosa si tratta?
(Ecco la Vostra isola, Signor Tasman!)
A partire dagli anni Novanta del secolo scorso, la popolazione di diavoli della Tasmania fu quasi decimata da un’epidemia di una particolare forma di tumore facciale. Tale tumore si può trasmettere rapidamente da un individuo all’altro attraverso i morsi che, come menzionato sopra, i simpatici diavoletti amano scambiarsi durante le loro giornate. Fermi tutti: i diavoli della Tasmania possono passarsi un tumore tra loro? C’è qualcosa che non torna… E adesso vi spiego il perché.
Innanzitutto, che cos’è un tumore, in poche parole?
Un tumore è un gruppo di cellule dell’organismo che “impazziscono” e iniziano a moltiplicarsi senza controllo. Così facendo, si forma una massa (il tumore, appunto) che può rimanere localizzata nel sito di origine o, nei casi peggiori, diffondersi in altri organi dando origine alle metastasi. Le cause dei tumori sono molteplici, con basi genetiche e influenze dello stile di vita. Lo avrete sentito chiamare anche cancro, neoplasia, “quel brutto male”. Sempre di tumore si tratta, evitando le sottigliezze. Ne esistono diverse varietà, a seconda del tipo di organi coinvolti. Può colpire gli esseri umani, gli animali, ma anche le piante. Insomma, è una malattia molto eterogenea. È stato definito il male del Ventesimo secolo, per l’aumento di decessi causati da tali patologie nel corso del Novecento. Si ritiene che l’invecchiamento generale della popolazione abbia accentuato i numeri, dal momento che si tratta di malattie che compaiono con l’avanzare dell’età. Tuttora, comunque, a causa delle campagne di prevenzione e di metodi di diagnosi precoce molto più sensibili, continua l’impennata di nuovi casi, anche tra i più giovani. Che sia un tema ancora molto caldo, lo dimostrano i numerosi studi che vengono pubblicati quotidianamente nella ricerca oncologica. Scegli a caso un gruppo di ricercatori in ambito biomedico: è molto probabile che molti di loro concentrino i loro studi su un tipo di tumore. Attualmente, al cancro si affiancano le cosiddette “malattie da benessere”, come obesità e sindrome metabolica, e anche tutto il mondo che ruota attorno alle allergie. Si pensava che avrebbero rubato ai tumori il primato di “peggior malattia del decennio”, ma quelli tengono botta.
Ma torniamo ora al diavolo della Tasmania e al suo tumore facciale. Se c’era una nozione di cui – da biologo – ero fermamente convinto, che quasi mi infondeva fiducia, si trattava della ormai assodata, netta suddivisione tra malattie infettive e malattie non trasmissibili. In altri termini, tra malattie che si possono passare da un individuo affetto ad un altro, e quei mali che invece non possono, per loro natura, saltare da un malato al prossimo. Tra le prime annoveriamo le malattie provocate da microrganismi patogeni come batteri e virus, ad esempio l’influenza. Mentre nel secondo gruppo si inseriscono le malattie cronico-degenerative, ovvero quelle che si sviluppano col tempo, e col tempo peggiorano: asma, diabete, ictus e così via, inclusi i tumori. L’epidemiologia classica si è basata su questa chiara distinzione per decenni… Fino ad ora!
Il tumore facciale del diavolo della Tasmania rappresenta una delle poche eccezioni alla regola: esistono solo altri due esempi di tumori “infettivi”, cioè trasmissibili tra individui. Si tratta del tumore venereo del cane e di una particolare forma di leucemia dei molluschi. In questo ultimo caso si è scoperto che il cancro è di origine virale, cosa già nota agli scienziati anche in altri animali. Ma ciò che rende speciali il tumore facciale del diavolo della Tasmania e quello venereo del cane è la loro somiglianza ad altri tumori non trasmissibili: non sono provocati da virus, bensì sono semplicemente cellule “impazzite” che, però, riescono ad eludere le difese immunitarie dell’ospite e si insediano nel nuovo organismo, colonizzandolo e dando forma ad un nuovo tumore. Così facendo si possono spostare all’interno di una popolazione di individui della stessa specie.
Ovviamente la comunità scientifica ha cercato di spiegare il perché di questo fenomeno alquanto insolito in biologia. E ci è riuscita! Sembra che nel DNA delle cellule tumorali avvengano delle modifiche che “spengono” alcune funzioni del sistema immunitario. In particolare, rimuovono degli importanti segnali – solitamente esposti sulla superficie esterna delle cellule – impedendo così alle difese dell’organismo di identificare l’intruso e distruggerlo [2]. È un intelligente escamotage per sfuggire alla polizia microscopica diffusa nel nostro corpo. Apparentemente, però, alcuni esemplari di diavolo della Tasmania riescono a resistere a questa invasione da parte del tumore: è la meravigliosa macchina dell’evoluzione in atto, cari lettori! Col passare degli anni sono stati selezionati (cioè sono sopravvissuti) alcuni individui più tenaci, che hanno trasmesso la loro resistenza alle generazioni successive. Il tutto in un lasso di tempo sorprendentemente breve, per gli standard dell’evoluzione darwiniana.
(Ciao Taz!)
È lecito chiedersi, a questo punto: qual è l’utilità di questa scoperta per l’uomo? Certamente la strada è ancora lunga prima di poter affermare con chiarezza se gli stessi meccanismi si applicano anche all’essere umano, ma è ragionevole sperare che queste scoperte in un mammifero di un’isola ai confini del pianeta ci permetteranno di capire se sarà possibile applicarle anche nella cura di tumori umani.
Cosa ci insegna questa storia? Che è utile studiare i fenomeni naturali, non solo per il puro gusto di apprendere come funziona il mondo, ma anche per trarne ispirazione e sviluppare nuove applicazioni. La ricerca “di base” o “fondamentale” non è mai davvero fine a sé stessa, tutto sommato, quindi bisogna valorizzarla. Può sembrare che lo studio di un animaletto diffuso solo su un’isola nell’intero pianeta sia di scarso interesse per il progresso dell’umanità. Tuttavia credo che non ci si debba fermare a questa prima antropocentrica valutazione. Magari uno scienziato studia il diavolo della Tasmania per semplice curiosità, per poi rivelare alla comunità scientifica che da quell’organismo potremo trarre lezioni importanti di biologia. Che è – appunto – ciò che è accaduto realmente. Siamo onesti: non è detto che vada sempre a finire così, anche la pura “ricerca per la ricerca” è da sostenere! Non tutto, in questa nostra vita, si fa per uno scopo utilitaristico. Gli scienziati siano un baluardo contro questa visione di mercato a cui la scienza si è trovata ad obbedire! Senza la spinta iniziale dettata solamente dal piacere della scoperta in sé, dalla meraviglia di fronte alla Vita, nemmeno questo articolo avrebbe preso forma.
Vorrei concludere questo viaggio immaginario in Tasmania con una riflessione piuttosto provocatoria. Leggendo un articolo apparentemente anonimo proposto dall’algoritmo, ho scoperto che decine di siti web avevano riportato questa stessa notizia (se vogliamo definirla tale) riguardante il tumore del diavolo della Tasmania. Perché tutto questo interesse online, anche nei quotidiani locali, sui diavoli della Tasmania e i loro tumori?Forse perché la salvaguardia della biodiversità è un tema caldo oggigiorno? O forse perché quel gusto tutto romantico (nel senso del Romanticismo di inizio Ottocento) per l’esotico, alla Byron, non è mai del tutto svanito dall’animo dell’uomo medio occidentale? A ripensarci, ci avevo pure scritto la mia tesina di quinta liceo: già allora mi aveva affascinato l’argomento. O forse ancora perché, come si diceva in apertura, la morte – soprattutto quella inspiegabile e inarrestabile – continua ad incutere in noi un timore difficile da digerire. Mi fermerò qui, con qualche risposta scientifica, ma nessuna risposta esistenziale, comunque grato all’algoritmo per un suggerimento di lettura che altrimenti sarebbe rimasto chiuso nei cassetti della rete fino a chissà quando.
(L’immortale Maestro Vittorio Gassman nel mentre che interpreta l’atto pirandelliano di cui sopra)
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