Hood (2002): Il velo delle bugie

DI PIETRO BERRUTO

Grazie all’uscita della serie Ironheart e alla sua rumoreggiante presenza nel videogioco Marvel Rivals, il super-cattivo Hood, noto civilmente come Parker Robbins, sta finalmente affiorando nella coscienza collettiva. Chi è, però, questo personaggio? Creato nel 2002 da Brian K. Vaughan e Kyle Hotz per la linea editoriale MAX, la quale puntava a proporre prodotti indirizzati a un pubblico maturo, Hood è lentamente diventato uno dei più interessanti personaggi del sottobosco criminale Marvel, anche grazie alla sua presenza nell’evento Dark Reign, pensato da Brian Michael Bendis. Quest’ultimo, si era preso il compito personale di popolarizzare i personaggi creati agli inizi del terzo millennio e renderli le nuove star del fumetto di supereroi moderno: tra questi, Echo, Sentry, Marvel Boy e, naturalmente, Hood. Ora è quindi il momento di analizzare la serie che lo ha visto protagonista, che, inoltre, è stata inchiostrata da Eric Powell e colorata da Brian Haberlin.

Parker Robbins è un giovane malvivente, costretto a una vita di criminalità: la madre è affetta da demenza senile, mantenuta dal figlio in un ospedale psichiatrico, mentre la sua compagna incinta, Sara, vive con lui in un piccolo monolocale in affitto, il tutto facendo molta fatica a trovare lavoro; suo complice nei piccoli furti che commette per trovarsi da vivere è suo cugino, John King, lievemente più navigato di lui nell’ambiente malavitoso. Parker vive mentendo a tutti i suoi cari, soprattutto Sara, che tradisce frequentemente con una prostituta. La situazione cambia quando lui e John, durante un colpo andato male, accidentalmente incappano in un demone, che prontamente uccidono a colpi di pistola, per poi derubarlo della cappa e degli stivali. Dopo aver scoperto che i vestiti nascondono poteri soprannaturali, come l’invisibilità e il volo, il primo pensiero dei due è lo stesso: “Adesso possiamo rubare meglio”. I loro piani vanno in malora quando si invischiano negli affari del boss mafioso Dennis Golembuski e le loro attività vengono scoperte dall’FBI. 

Quello che è interessante di Hood, è che è un ribaltamento della classica storia delle origini dei supereroi: Hood non ottiene i poteri per grazia ricevuta, come ad esempio nel caso di Lanterna Verde o Capitan America, o per colpa delle casualità di un incidente, come per Spider-Man o Flash, bensì uccidendo qualcuno e depredandone il cadavere. Qui si trova l’iniziale conflitto del personaggio: Parker uccide, in questo caso, per legittima difesa, e per istinto di sopravvivenza ruba ciò che pensa di poter rivendere, in un atto completamente antieroico. Non a caso, i poteri che riceve non sono tipicamente associati a una natura offensiva, ma lui sceglie di portare con sé delle pistole, poiché pronto a imbracciare un approccio aggressivo.

Capire che cosa guida la mente di Parker è, allo stesso modo, molto interessante: egli ha, apparentemente, come priorità, la sua famiglia e perciò si impegna per dare un futuro migliore a Sara e, per quando nascerà, a sua figlia. Il suo comportamento, però, dimostra atteggiamenti manipolatori, che lo spingono a mentire compulsivamente sia a sua madre sia a Sara, che vuole tenere all’oscuro delle sue attività criminali e dei suoi tradimenti. Quello che Parker vuole mantenere è il controllo: agire indisturbato e fare quello che lui ritiene eticamente accettabile, nonostante in realtà lui stia ferendo delle persone, e allo stesso tempo avere la famiglia perfetta che non lo giudica e gli vuole bene per quello che è; poiché, però, Sara non ha le sue stesse idee, lui si è convinto di poter mantenere una doppia vita, sopravvivendo in una situazione precaria per sua volontà. Il mantello dell’invisibilità, come immaginario, quindi calza a fagiolo: Hood è un personaggio che agisce nell’oscurità e ottiene quello che vuole ingiustamente, a tutti i costi, nascosto da una coltre di menzogne. I disegni di Hotz e gli inchiostri di Powell dimostrano molto bene questo concetto, mettendo in risalto le ombre, ricalcate e abbondanti.

Hood è una sorta di anti-Spider-Man: Parker (ironico sia questo il suo nome) ha già delle responsabilità, di cui a malapena si occupa, e, quando ottiene i “grandi poteri”, li mette al servizio solo di sé stesso, camuffando il suo egoismo per altruismo. Per quanto la serie con protagonista l’antieroe si fermi al sesto numero, sembra, dal finale, che Vaughan avesse in mente una continuazione, che però non giungerà mai a compimento, motivo per il quale sembra incompleta: è forse per questa ragione che, prima di Bendis, il personaggio abbia fatto così fatica a radicarsi in un panorama già pieno di personaggi come quello dei supereroi Marvel. La serie in sé è ben scritta: Parker è ben sviluppato e lo stesso vale per i personaggi minori, come Golembuski, Sara o John. Unica caratteristica che può stonare è il linguaggio: Hood, opera considerabile nel genere come pulp e nella trama come heist, è figlio delle correnti edgy dei primi anni 2000, prendendosi la licenza di utilizzare termini e immagini controverse per il semplice gusto di farlo; facendo, però, l’avvocato del diavolo, può essere argomentato che i personaggi nella storia non siano brave persone e che non si stia cercando di presentarli come tali, e che l’utilizzo saltuario di specifici insulti può essere considerato sintomo della loro incuranza e quindi cattiveria. Si consiglia, comunque, discrezione ai lettori

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