DI CECILIA ALFIER
Horror raccontati male (piccolo omaggio a Barbascura X, ma non troppo).

Breve premessa. Questa rubrica, capricciosa e incostante, nasce da una crisi esistenziale della sottoscritta nell’agosto scorso, che mi portò a un duplice effetto: avvicinarmi agli amici di Mercuzio e voler recuperare gli horror. Non cercate il nesso fra le due cose. In ogni puntata farò un riassunto di un film horror. Nessuno di questi mi ha spaventato, anche quelli di cui riconosco la maestria. Più che altro li usavo e li uso per dormire.
Qui tratterò solo di quelli che mi hanno fornito più spunti di riflessione, o perché sono famosi o perché sono belli. Nella maggioranza dei casi perché sono ciofeche. AVVERTENZE IMPORTANTI: 1) non sono wikipedia e questi riassunti non contengono sempre la trama in modo lineare e comprensibile a chi non li ha visti, ma i film di cui scrivo si possono facilmente reperire in internet (siti legali, mi raccomando) o in dvd (sì, esistono ancora); 2) il “riassunto” può contenere tracce di spoiler fuori contesto, sarcasmo più o meno spicciolo e riferimenti alla cultura nerd, che non vi spiego, perché dovreste già conoscere. Chi è allergico si tenga distante; 3) mi piacciono gli horror, se non si fosse capito.
Bene, ora che avete capito (spero) la premessa, cominciamo. Tranquilli, il primo film lo conoscete, anche solo per sentito dire.
Non aprite quella porta
Anno d’uscita: 1974
Regia: Tobe Hooper

E niente. I protagonisti si ostinano ad aprire quella porta e morire (a loro discolpa, il titolo originale è un altro). Tranne Franklin, lui muore lo stesso, pur non avendo aperto quella porta, in un evidente errore di sceneggiatura. Muore perché un disabile in un film horror datato non può pensare di sopravvivere. Eppure era l’unico che diceva cose sensate (inframezzate da cose stupide, dette solo perché voleva essere incluso nelle attività della gita: escursioni, andare a funghi, scopate, fughe dai serial killer con le motoseghe). Sarebbe stato un Faccia-di-Cuoio perfetto, invece muore, per permettere la sopravvivenza della final girl più sciapa della storia (ma era l’archetipo del personaggio, la prozia di Maxine, quindi ok).
Lei finisce a casa di gentili signori con figlio cuoco e nonni simpatici che non litigano con le badanti, perché le mangiano. La nostra final girl non gradisce il menù della cena e cerca di scappare, offendendo il cuoco, i cui sentimenti sono fragili, ma la motosega no. La protagonista, meglio nota come “portata principale”, riesce a salvarsi in apparenza per botta di culo. In realtà, la lasciano andare perché era sciapa e loro non hanno abbastanza soldi per il sale.
Non aprite quella porta è un cult, in quanto primo horror che abbia evidenziato il problema sistemico della disoccupazione dei macellai negli Stati Uniti.
La scena più bella è quella comica all’inizio, in cui Franklin e la sua carrozzina escono dal camion per fare pipì e rotolano giù da un dirupo. Immediato il collegamento con quel capolavoro di Mac and Me, di yobitiana memoria, nella scena dove il ragazzino non camminante viene salvato da ET – versione discount. Solo io ridevo al cinema. Immagino che il resto del pubblico non avesse abbastanza cultura pop.
Firmato: La Gagliarda


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