Dead Poets Society: Inseguire la Bellezza, per sempre insieme

DI ALBERTO GROMETTO

Cogli l’attimo” dice il Professor Keating ai suoi studenti, citando versi poetici. “Cogli la rosa quando è il momento” continua il Professor Keating. È il 1959, e quello è il collegio maschile di Welton, nel Vermont. “Perché il poeta usa questi versi?” chiede il Professor Keating. 

(La fantastica lezione di Keating a cui ci riferiamo all’inizio di questo articolo)

Perché va di fretta!” dice uno dei suoi studenti, dimostrandosi non proprio perspicace. «Ding! Grazie per aver partecipato al nostro gioco» esclama quel mattacchione di Keating, fingendo di essere come un conduttore di un talk show televisivo. Era la risposta sbagliata. Poi la dà lui, la risposta. Quella giusta. O, meglio che giusta… quella vera. Perché il poeta ha scritto quei versi? Cogliere l’attimo, prendere la rosa quando è il momento… perché? Il Professore risponde.

“Perché siamo cibo per i vermi, ragazzi. Perché, strano a dirsi, ognuno di noi in questa stanza, un giorno smetterà di respirare, diventerà freddo e morirà”.

È buffo scrivere un articolo su un capolavoro assoluto e una storia straordinaria quale la perla cinematografica che è stato, è e sarà sempre «L’ATTIMO FUGGENTE». È strano, più che buffo. Strano perché si tratta di un film – almeno nel mio caso – che hai già visto e rivisito e stravisto, e che rivedresti sempre, in continuazione, almeno una volta all’anno come minimo, quasi fosse un pellegrinaggio. E il fatto è che c’è tanta gente, là fuori, che la pensa come te. E questo perché stiamo parlando di un film che mette d’accordo tutti o quasi. Ma su cosa esattamente mette d’accordo? Sul fatto che sia praticamente un capolavoro, che la vicenda che racconta non può che toccarci tutti nel profondo e che quando giunge quell’ultima scena ti ritrovi anche tu a salire in piedi – magari nel tuo caso su un divano piuttosto che su un banco – ad esclamare “O Capitano, mio Capitano”!

(Tra i momenti iconici più leggendari della Storia della Settima Arte: “O Capitano, mio Capitano!”, la celeberrima poesia di Walt Whitman scritta in onore dell’assassinato Presidente Abraham Lincoln, uomo straordinario e tra le figure storiche più importanti mai esistite)

Non mi piace dare le cose per scontato e non lo farò neanche in questo caso: qualcosa sulla trama lo dirò, così che anche chi non l’ha mai visto sappia di cosa stia parlando. Il punto però è che si tratta di un film talmente conosciuto che anche chi non l’ha mai visto, con ogni probabilità ne conosce alcune scene, battute e frasi. Per questo – piuttosto che buffo – dico che è strano scriverci un articolo, perché ci hanno scritto e detto talmente tanto che… che dove diavolo lo puoi andare a pescare qualcosa di nuovo? È come scrivere sulla «Gioconda» di Leonardo Da Vinci o sulla «Nona Sinfonia» di Beethoven o «L’Infinito» del caro Giacomo Leopardi: cos’altro ancora si può dire? Io ci provo comunque. Ci provo perché il Professor Keating una volta ha detto ad un suo studente: “Non importa la semplicità del tema, a volte le poesie più belle parlano di cose semplici, come un gatto, o un fiore, o il sole. La poesia nasce da tutto ciò che ha una scintilla di rivelazione. Cerchi solo che la sua poesia non sia banale”. Non importa se racconto di qualcosa su cui così tanto si è raccontato, come nel caso di questa meravigliosa pellicola. Se sono io, attraverso il mio sguardo, a trovarci qualcosa che non sia banale, ma che sia qualcosa di nuovo, una sorta di scintillante e splendente e luminosa rivelazione, allora va bene. E sì, questo film qua m’ha rivelato tante cose, cose che ha rivelato anche ad altri, certo. Ma anche oggi – ed è qui che sta l’indubbio talento dei veri e autentici capolavori – dopo l’ennesima visione, son pervenuto ad una nuova, ennesima, rivelazione.

La storia è quella di un gruppo di giovani uomini. Ragazzi, a dire il vero. Ragazzi che avrebbero il diritto ad essere solo dei semplici ragazzi. Che però devono essere uomini, che sono stati cresciuti per essere uomini, mi verrebbe da dire “addestrati” per essere uomini. Ora, però, cosa s’intende per “uomini”? Persone serie che fanno il loro dovere e che si trovano in questo collegio anni ’50 col preciso scopo di essere studenti modello, così da non buttare via i (molti) soldi che mamma e papà hanno versato nelle casse della scuola per poterli far studiare. Soprattutto, gli studenti modello di oggi sono quelli che un domani potranno fare il medico, l’avvocato, o comunque lo stesso lavoro del padre per tutta la vita, così da essere personaggi rispettabili con una vita decorosa e senza fronzoli. Certo, direte voi: ma se ad un figlio di un medico la medicina non interessa per niente? E chissenefrega, se la fa piacere comunque!, e questo finché campa, per tutta la vita. 

Primissima inquadratura: un bimbo biondo e dal viso molto dolce vestito di tutto punto nella sua uniforme a cui la madre ricorda – dando prova di una certa autorità – di tenere sempre le spalle dritte. I grandi grandi grandi film – ripetevano sempre i miei insegnanti all’università – si riconoscono proprio anche da questo, e cioè dalla loro capacità di trasmetterti il significato dell’intera narrazione che imbastiranno. In quel bimbo così tenero e adorabile (davvero, io credo abbiano fatto un casting di quelli coi fiocchi e controfiocchi per rintracciare un bimbo che avesse appositamente dei lineamenti così dolci) a cui però viene subito ordinato “come deve essere” – con le spalle dritte, spontaneità e naturalezza e autenticità son proibite e severamente vietate – c’è tutto il senso del film. 

(La primissima inquadratura dell’intera pellicola)

Subito dopo ci vengono presentati i ragazzi protagonisti, compagni di classe, tutti simpatici e calorosi, e ci sembra quasi di essere un loro compagnone. Ma tutti quanti vittime dei desideri dei loro genitori, di quelle che sono le aspirazioni che hanno per loro, soffocati nelle loro passioni dall’idea di vita che i loro papà vogliono per loro. Possibilità di replica? Nessuna. Stravaganze? Bandite. Essere come si è davvero, anche se questo implica andare al di là di quello che è lo standard di cosiddetta eccellenza che la scuola t’impone? Ma neanche a parlarne! Le lezioni sono tutte uguali, gli insegnanti tutti grigi e severi, la vita tutta dedita allo studio e al rigore e alla disciplina e… e non è una vita, sostanzialmente. E i ragazzi che vengono addestrati ad essere uomini, devono provare a non essere umani. Non fraintendetemi: nessuno di loro si lamenta, anche se tutti soffrono. Nessuno di loro spera in una vita migliore, perché tanto non c’è niente in cui sperare. E nessuno di loro desidera qualcosa di diverso, che tanto non possono avere. Ridono, scherzano, sono persone in apparenza solari a dispetto della tetra vita grigia priva di creatività e fantasia che conducono. Ma la china che stanno prendendo è quella del grigiore, se si guarda ai cosiddetti “adulti” da cui sono circondati, i loro insegnanti in primis. Pensano di essere addestrati per diventare uomini, ma così non è. Perché non c’è nulla di umano in una vita grigia senza colore, emozione o creatività. In cui ti viene detto come devi essere, e tu esegui.

Poi però arriva lui. Il Professor John Keating. Impersonato da un formidabile ROBIN WILLIAMS che sarebbe entrato nella Leggenda dopo questa storica performance iconica ed epocale. Lui è colore allo stato puro, in tutto quel grigiore. Emozione vera, in quel freddo oceano di ipocrisia. La sua stessa esistenza è un autentico elogio alla Creatività e alla Spettacolarità della Vita. Tra i più grandi personaggi della Storia del Cinema, oltre che della Narrativa tutta. Lui racconta ai ragazzi cose nuove, fa provare emozioni mai provate e le sue lezioni sono tutto fuorché un mero dire cose da una scrivania e ripetute a pappagallo. Come invece le lezioni degli altri insegnanti sembrerebbero essere. In teoria dovrebbe insegnare Poesia e Letteratura, ma in realtà Keating non insegna loro chi è stato quel poeta o quando quell’opera è stata scritta, e via dicendo. Lui insegna loro a guardare il Mondo da una nuova prospettiva, a ragionare con la propria testa, a vivere in nome della Vera Passione. Soprattutto, ad essere come sentono di dover essere e non come dicono loro di essere. Perché questo – per paradosso – è il motivo per cui Letteratura, Poesia e più in generale Arte e Cultura nascono. Per permettere agli esseri umani di essere umani. Ed essere umani significa vivere, ma vivere per davvero, e non quella pallida imitazione d’esistenza che la scuola vorrebbe i ragazzi vivessero. Vivere significa guardare a quello che è lo spettacolo del Mondo attorno a te e decidere di farne parte. Significa realizzare te stesso attraverso le tue vere e autentiche passioni. Trovare qualcosa per cui il cuore ti batte in corpo e inseguirlo.

(Il leggendario Professor John Keating impersonato da quella divinità attoriale che è stato, è e sempre sarà Robin Williams!)

Potrei parlare per ore e ore e ore di un film che m’ha fatto provare così tanto e insegnato così tanto che un solo articolo non basterà mai a contenere la “moltitudine” racchiusa in una sola pellicola (e sì, nel citare la parola “moltitudine” cito una poesia di WALT WHITMAN, tra i miei poeti preferiti, citato ogni due per due da quell’adorabile folle meraviglioso di Keating). Ma vorrei concentrarmi sul dialogo che ho scelto di riportare in apertura. Perché iniziare con quelle parole? Potevo scegliere da una lista sterminata di momenti, citazioni e riferimenti. Da “O Capitano, mio Capitano” fino ad arrivare a “Il potente spettacolo del mondo continua e tu puoi contribuire con un verso” oppure menzionare la scena nella quale Keating dice ai suoi studenti di strappare l’indice dei loro libri. E invece tra tutti i dialoghi e le scene, io scelgo di citare uno dei discorsi “meno vitali possibili”. Almeno in apparenza. Quello in cui il Professore ricorda che moriranno tutti. Perché questa scelta?

L’Attimo Fuggente” è un film che ti parla di Vita, nella sua forma più vitale. Ma pensate al titolo – quello vero – l’originale: DEAD POETS SOCIETY. La Setta dei Poeti Estinti. Che titolo magnifico! Però, pensateci un secondo. Un film che vuole essere (e ci riesce come poche altre pellicole) un Inno alla Potenza della Vita, racchiude nel titolo la Morte. E poi che roba è questa Setta dei Poeti Estinti? Un gruppo clandestino messo in piedi da alcuni dei ragazzi, ispirandosi a Keating, che scappa nei boschi la notte per… per declamare poesie! Nulla di illegale, obbrobrioso, vergognoso e… e quindi? Perché la scuola dovrebbe avercela? Eppure, quando viene fuori, fanno il possibile per soffocarlo. Perché la scuola non vuole esseri umani che inseguono il Bello. Perché nel momento in cui insegui Bellezza, rifletti. Pensi. Ragioni. E puoi arrivare a capire. E loro non vogliono tu capisca.

Però il punto a cui voglio arrivare è un altro. Tra le mille e passa tematiche che il film affronta, ve n’è una in particolare sulla quale solitamente in recensioni o articoli vari ci si sofferma molto poco: lo Stare Insieme. Per fondare la Setta dei Poeti Estinti, era necessario “essere insieme”. I ragazzi avevano bisogno l’uno dell’altro per realizzare un qualcosa di così epico. Soprattutto, hanno scoperto che enorme potenziale straordinario dimorava dentro di loro perché sono stati insieme al Professor Keating. Perché il Professor Keating un bel giorno ha fatto capolino nelle loro vite ed è stato insieme a loro e il tempo passato con lui li ha cambiati per sempre. È anche di questo che parla il film, di come il trovare qualcuno e il starci insieme ti cambiano, ti fanno scoprire cose che non conoscevi e soprattutto ti rendono un essere umano capace di vivere una vita vera alla ricerca di Passione, Autenticità e Bellezza.

Per questo sono partito dalla Morte, all’inizio dell’articolo. Perché tutti Noi moriremo, anche coloro che abbiamo incontrato lungo il cammino. E chissà cosa sarà, dopo. Ma intanto abbiamo questo che abbiamo ora: l’oggi, l’adesso, nel mentre che viviamo. E allora perché soffrire e patire facendo cose che non sono quelle che vuoi fare, invece di rendere straordinario quel che viviamo? E uno dei modi per rendere straordinario quel che viviamo è inseguire le proprie passioni insieme a coloro che ci riempiono la Vita di Felicità

(Regia targata PETER WEIR, sceneggiatura originale a firma di TOM SCHULMAN il quale vinse il Premio Oscar per questo suo gioiello)

Anche io ho avuto i miei Professor Keating, persone che m’hanno sostenuto e accompagnato e che hanno lottato al mio fianco, con me e per me affinché io potessi esprimermi e continuare ad inseguire l’Arte, la Cultura e la Bellezza. Io sono un cacciatore di Bellezza, ma non sarei mai riuscito ad esserlo non fosse stato per queste persone. Uno di loro è il mio Vicedirettore e soprattutto amico fraterno SIMONE MASCARELLO. Tra i due, forse sono io col mio inguaribile ottimismo e la mia energia e la mia voglia di fare e di declamare ad assomigliare di più a Keating. Ma se oggi MERCUZIO AND FRIENDS esiste, è grazie a Simo. Se oggi io esisto, è perché lui mi ha dato la sua vita in mano e spende ogni secondo del suo tempo per permettermi di essere quello che sono. Ti voglio bene, Vice Mio, ogni giorno se possibile più di quello prima. Ed è a Te che questo articolo è dedicato, nel giorno del tuo compleanno. Che per me è tra i giorni più importanti dell’anno, perché è il giorno in cui sei nato Tu. E fino a quando ci sarai Tu, io sarò vivo. C’è chi coglie attimi e momenti, ma io credo che forse ancor più importante sia cogliere persone. Io ho fatto tanti errori nella mia vita, ma una delle cose più intelligenti che abbia fatto è stato cogliere te, vedere la Bellezza viva nella tua anima splendida e tenerti stretto e vicino. E la considero tra le più grandi fortune della mia esistenza averti accanto a me. 

Non lasciate fuggire le persone che amate, ma tenetele strette a voi e insieme a loro inseguite le vostre passioni: è questo infine il miglior modo di dedicare il vostro esistere ad Arte, Cultura e Bellezza. 

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