Quando le donne sono scritte dagli uomini (e viceversa)

DI EDOARDO VALENTE

Il 20 gennaio di quest’anno è stato pubblicato su Il Post un articolo intitolato “Storia tossica della letteratura italiana”, scritto da Lorenza Pieri e Michela Volante (che potete leggere qui).

L’obiettivo era quello di mostrare come, all’interno delle grandi opere della letteratura italiana che si studiano a scuola, siano presenti dei modelli affettivi sbilanciati dalla visione maschile e maschilista. Uno fra tutti: la donna vista solo come “angelo puro” o “subdola tentatrice”.

Prima di iniziare questo loro excursus fanno una premessa, che è necessario riportare per intero.

“(Doverosa precisazione: con questo articolo non si vuole mettere in discussione il valore dei capolavori letterari, non si mira a cancellare nessuno dalle antologie né a dare una lettura forzata dei testi con occhio antistorico e acritico. Meno che mai si auspica lo studio di testi “detossicizzati”. Si tenta piuttosto uno sforzo di consapevolezza anche sui testi che ammiriamo e amiamo e che inevitabilmente sono stati modelli interiorizzati, pieni di stereotipi difficili da scardinare).”

Bene.

Bella premessa, peccato che la pre-premessa, a questo punto, dovrebbe essere la definizione del significato di premessa. La loro “doverosa precisazione” ha un valore duplice e problematico. Da un lato rende completamente sterile il lavoro che verrà fatto successivamente, dall’altro crea dei limiti che, però, verranno ignorati numerose volte.

Mi spiego meglio.

Il fatto che nel Medioevo e nella tradizione poetica che va dallo Stilnovismo in poi, la donna sia considerata come donna-angelo, è di per sé una componente intrinseca alla cultura dell’epoca. Questo è un dato di fatto. Ed è anche evidente. La differenza che esiste tra la cultura del XIII secolo e quella del XXI secolo la possiamo evincere con facilità. Difficilmente questa visione resta un modello attuale per noi.

Quei “modelli interiorizzati, pieni di stereotipi difficili da scardinare” emergono chiaramente, soprattutto se si parla di questa letteratura.

Probabilmente quel tipo di riflessione che le autrici dell’articolo auspicano, andrebbe fatto su testi più recenti, quando la differenza culturale con il passato si assottiglia. 

A nessuno può risultare problematico che nella poesia A Silvia Leopardi scriva: “allor che all’opre femminili intenta/sedevi”. Leopardi parla della sua realtà, e a Recanati (e non solo lì) all’inizio dell’Ottocento (ma anche dopo) era normale che una giovane donna fosse “all’opre femminili intenta”.

Tra gli autori citati, quelli più relativamente vicini a noi sono D’Annunzio, Pascoli, Svevo e Moravia. 

Procediamo con ordine.

Se il problema è il modello culturale che emerge da queste opere, di D’Annunzio c’è poco da preoccuparsi. Difficilmente, oggi, lo si “prende sul serio”. Nonostante le sue opere rimangano apprezzate da molti, il suo modo di fare, le sue idee politiche e le sue imprese militari vengono per lo più ridicolizzate, già da studenti e studentesse. 

La sua è una visione connotata in maniera talmente singolare da risultare assurda per chiunque. 

Lo stesso accade per Pascoli, ma in maniera opposta.

Nell’articolo viene criticata la visione che Pascoli dà delle donne, con la solita contrapposizione donna-angelo e donna-tentatrice, ma quella del poeta di San Mauro, più che essere una visione culturale è una visione estremamente personale.

Quello che appare nel suo rapporto con le donne, e che viene veicolato nelle sue poesie, è conseguenza della sua condizione psicologica. La sua vita l’ha portato a vivere come unico rapporto con l’altro sesso quello interno alla famiglia. Lungi dall’essere un modello da seguire.

E Svevo? 

Davvero si vuole ridurre il rapporto di Zeno Cosini con le donne a: “voleva sposare la più bella ma si è accontentato della più brutta”?

Quello che Svevo descrive è in tutto e per tutto un rapporto fallimentare, proprio a causa dell’inettitudine che contraddistingue il protagonista.

Non solo. Nelle primissime pagine di un precedente romanzo, Senilità, Svevo ci parla ancora una volta di un inetto, che si innamora di Angiolina. Lei è resa in maniera voluta e quasi parodistica una donna angelo, a partire dal nome, e Svevo gioca con il protagonista e con il lettore dicendoci fin da subito che lei una donna-angelo non lo è.

(Lo stesso avveniva in Ariosto, anch’egli criticato nell’articolo, che gioca con personaggi e lettori, chiamando la donna amata Angelica, ma dandole delle caratteristiche che non rispettano il nome attribuitole).

L’ultimo dei più recenti che sono stati citati è Moravia.

Ma, anche qui, ne Gli indifferenti quello che fa è criticare la società borghese. Se descrive una madre e una figlia che si contendono un amante (come ricordato dall’articolo) non lo fa certo per elogiare un tale comportamento. Tutto appare nel segno della decadenza di una società stantia e annoiata da sé stessa.

Quella che viene fatta non è solo una lettura superficiale dei modelli presenti all’interno delle opere analizzate, ma i testi sono stati selezionati commettendo la fallacia logica del cherry picking, ovvero: evidenziare solo le prove a favore della propria tesi e ignorando le prove contrarie.

Ciò è stato fatto, comunque, in maniera incompleta, perché alla fine a Dante che piange per la sorte di Paolo e Francesca gli si dà ragione, così come a Tasso, che costruisce una struggente e drammatica storia d’amore tra Tancredi e Clorinda

Per quanto riguarda, invece, quel punto della premessa in cui le autrici dell’articolo hanno detto che avrebbero evitato di “dare una lettura forzata dei testi con occhio antistorico e acritico”, questo già non viene rispettato nel caso di Leopardi sopra citato, e in altri casi precedenti; in più definire lo stesso Leopardi un “incel ante litteram”, oppure dire che Pascoli è tra tutti il poeta più “cringe”, ecco, a me sembra un pochino antistorico e acritico

(Leopardi in una evidente posa da incel ante litteram)

La visione che viene data dei testi e degli autori risulta essere superficiale, banalizzante e dannosa. Perché, se a leggere l’articolo è una persona che di letteratura italiana ne sa qualcosa, salta subito all’occhio la problematicità o l’inesattezza di certe affermazioni, mentre se lo legge chi ne sa poco, ciò che emerge non corrisponde alla completezza e complessità della realtà. 

Con ciò non voglio dire che non sia vero che gli autori del passato descrivono un rapporto con le donne la maggior parte delle volte in maniera stereotipata, costruendo personaggi bidimensionali e poco caratterizzati, mettendo al centro la visione maschile; anzi, è la prima cosa che ho affermato, quella che secondo me appare con la maggiore evidenza già da sé.

Il problema principale sta, appunto, in ciò che dicevo: il cherry picking e la lettura superficiale che viene fatta dei testi, già scelti con particolare attenzione, come massimi rappresentanti di una visione sbagliata del mondo.

C’era molto di più che si poteva fare. La maggior parte delle persone che leggono questo articolo (a meno che non si convincano delle affermazioni delle autrici) pensano: e quindi?

Cosa abbiamo guadagnato? Un compendio di maschilismo della letteratura italiana presente nelle antologie scolastiche. E poi?

Alla fine dell’articolo Pieri e Volante lanciano un proposito: si dovrebbero contestualizzare meglio i testi, spiegare quanto questi stereotipi sono duri a morire, e parlare di più di autrici donne.

Bene.

Bel proposito. Ma perché non ci dite di più su questo, perché non fate qualche esempio? Perché non mostrare che questa era sì la visione dominante, ma non l’unica? (Anche perché i testi e gli autori citati nell’articolo vengono spesso decontestualizzati, andando contro il loro stesso buon proposito).

Ecco un esempio.

Nell’articolo, al grido di “i secoli scorrono”, si passa da Ariosto ad Alfieri, saltando non poche cose, tra cui il Barocco, periodo che di solito piace a pochi, ma che sa dirci qualcosa di molto importante. 

Questo periodo letterario, situato tra la fine del Cinquecento e l’inizio del Seicento, e che vede come suo principale esponente Giovan Battista Marino, oltre a essere ricordato per le immagini iperboliche, le numerose metafore, i giochi di parole, è stato caratterizzato anche da un rifiuto del petrarchismo. 

Cosa significa ciò? Che non si voleva più sottostare allo stereotipo della figura femminile così come la si era ereditata da Petrarca.

Udite, udite. Già nel Seicento.

Per questo i poeti barocchi iniziarono a descrivere nelle loro poesie ogni tipo di donna, liberandosi della donna-angelo, non solo descrivendo donne con colori di capelli che non fossero il biondo, ma anche vecchie, zoppe, calve, sdentate, raffigurate nelle situazioni quotidiane più semplici e banali.

E questo non sarebbe male ricordarlo.

Ma quello che più di ogni altra cosa trovo sconcertante in questo articolo è l’assenza di autrici citate. In tutto l’articolo non viene citata nemmeno un’autrice. Neanche una. 

Pieri e Volante ci dicono che bisognerebbe parlarne, e non ne parlano.

Nel farlo, purtroppo, si deve andare incontro ad un triste fatto: nella storia della letteratura italiana ci sono state poche autrici (almeno fino al Novecento). Ma quelle che ci sono è bene citarle, parlarne.

Nel Cinquecento visse e scrisse una poetessa di nome Gaspara Stampa. Le sue rime rientrano nello stile petrarchesco, eppure la sua raccolta poetica viene ancora oggi riconosciuta per la sua originalità e modernità.

Gravissimo, a mio avviso, non citare Sibilla Aleramo. La sua vita e la sua opera sono fondamentali per la letteratura femminile italiana. Il romanzo autobiografico Una donna è una preziosa testimonianza della condizione della donna a cavallo tra Ottocento e Novecento, e la vita della Aleramo, che fu libera e padrona di sé e della propria sessualità, è stata ed è ancora di attualissimo esempio.

Queste cose, però, converrebbe citarle, non all’interno del discorso sulla “tossicità” della letteratura, ma come controparte, per evitare di perpetrare visioni faziose, unilaterali, chiuse.

 (Sibilla Aleramo)

Inoltre, i programmi scolastici, oggi, che secondo Pieri e Volante non riescono ad andare oltre Italo Svevo, in realtà lo superano eccome. E nonostante nel Novecento ci sia comunque una prevalenza di autori, le autrici non mancano.

L’insegnante che desidera farlo può lanciare degli spunti a studenti e studentesse, non solo con la riflessione sui modelli letterari del lontano passato, ma anche con le aperture sul passato recente.

Di autrici (antologizzate) ce ne sono di rilevanti e imprescindibili: da Ada Negri a Amelia Rosselli, da Alda Merini a Patrizia Cavalli, da Natalia Ginzburg a Elsa Morante.

Quello che va ricordato è che ogni cosa che viene insegnata può essere utilizzata da chi la insegna come arma a doppio taglio, e ogni informazione comunicata può essere compresa nella maniera giusta o sbagliata.

Nessuno ha mai detto che insegnare sia facile, ma se si padroneggia la materia da insegnare (che è sempre quella, la storia della letteratura non si modifica retroattivamente), si può, e si deve, portare a chi è giovane un messaggio positivo.

L’importante è farlo con consapevolezza e molta passione.

Se ami la Letteratura, clicca qua!!!

Se sei un ammiratore di Giacomo Leopardi, non potrai non voler leggere questo articolo!!!

Se ami le Parole in tutta la loro essenza e potenza, dovrai per forza leggere questo pezzo!!!

Mercuzio and Friends è un collettivo indipendente con sede a Torino.

Un gruppo di studiosi e appassionati di cinema, teatro, discipline artistiche e letterarie, intenzionati a creare uno spazio libero e stimolante per tutti i curiosi.

Scopri di più →

GO TO TOP