DI GIACOMO CAMISASCA
Il 30 novembre esce nelle sale italiane “The Holdovers”, ultima fatica del regista americano Alexander Payne, e per arrivare preparati a quella data, noi di Mercuzio & Friends abbiamo deciso di portarvi la monografia completa di uno dei registi contemporanei più importanti degli ultimi anni.

Ogni venerdì, fino al 1 dicembre, ci imbarcheremo in questo viaggio on the road e ripercorreremo la carriera del regista premio Oscar.
Faremo parlare i suoi film, storie che riescono a toccare tematiche delicate e profonde ma che allo stesso tempo sembrano leggeri e soffici come una mousse. Già, mi piace pensare ad Alexander Payne come ad un pasticcere, un tipo metodico che sa trattare ingredienti difficili da scovare, che riesce a bilanciarli tra loro e tirarne fuori dessert da lasciare estasiati.
Ovviamente ci sono dolci usciti meglio di altri, film e storie che sono diventate più mature nel corso del tempo e altre che sono rimaste un pochino acerbe ma sempre godibili e divertenti e con quel pizzico di malinconia che rimane addosso per giorni.
Però ora basta chiacchiere, è arrivato il momento di riavvolgere il nastro, catapultarci nel gennaio del 1996 al Sundance Film Festival, passeggiare per le strade innevate di Park City, entrare in un cinema ed assistere alla prima mondiale di un nuovo film di questo nuovo regista, ovvero…
Citizen Ruth
“La voce di Dio ti salverà”
Ruth Stoops, una giovanissima Laura Dern, è un personaggio grottesco, impacciato e che vive ai margini della società.
Ruth è una tipa semplice, sniffa colla, solventi e prodotti chimici di vario tipo. Frequenta uomini meschini, che, dopo averla scopata, la gettano fuori di casa lanciandole i vestiti in corridoio e trattandola come una bestia senza dignità. Ed è proprio così che inizia il film.
Il più delle volte, Ruth, si ritrova a smaltire sbornie colossali in parcheggi sporchi e circondati dal degrado ed è proprio durante una delle sue sniffate giornaliere che viene beccata da due poliziotti e portata prima in ospedale e poi davanti ad un giudice che la condannerà a un periodo di reclusione, per aver messo in pericolo la vita del piccolo che piano piano sta crescendo dentro di lei.
Scopriamo che non è la prima volta che Ruth rimane incinta, la recidiva Ruth Stoops, madre di quattro figli ormai adottati da altre famiglie per bene, finisce dietro le sbarre ma con una possibilità, ovvero abortire per far sì che la pena venga ridotta, dal momento che secondo il giudice è incapace di ricoprire il ruolo di genitore.
Abortire, una scelta delicata, privata, da ponderare con cura.
Una scelta che dovrebbe spettare solo a Ruth Stoops, ma che mai le apparterrà.
È qui che entra in gioco Dio, o meglio, le sue adepte. Un gruppo di devote cristiane, raggiunta la cella provvisoria di Ruth, inizia a cantare una canzone per l’Altissimo ed è in quel momento che le donne si accorgono della povera anima stesa a terra, tormentata dai sensi di colpa, un’anima difficile da salvare, difficile per chiunque ma non per loro, devote al Signore.
La cauzione di Ruth viene pagata da Norm e Gail Stoney, una coppia di radicali evangelici. I due la vivono come una missione, una missione complicata ma non impossibile: l’obiettivo è rimetterla in sesto e soprattutto evitare che uccida il bambino che ha in grembo. Ruth viene pulita, svezzata con cibi solidi ed è pronta per l’indottrinamento del gruppo Pro Vita di cui Norm è presidente.

La missione si rivela però più dura del previsto, Ruth continua a bere, uscire di casa di nascosto e sniffare colla per modellini e, ciliegina sulla torta, tira persino un pugno in pancia al figlio piccolo di Norm e Gail (una delle scene più belle del film).
Dopo questo gesto ritenuto degno di una bestia dominata dal demonio, Ruth viene allontanata e affidata ad un’altra adepta del gruppo anti-abortista che in realtà si rivelerà essere una spia del gruppo pro-aborto.
Già, il caso di Ruth Stoops non è più una cosa da poco. È diventato un caso mediatico che vede schierate due fazioni ben distinte, da una parte chi ritiene che Ruth non abbia il diritto di scegliere per il suo corpo e per la sua vita e dall’altra chi cerca di aiutarla a trovare una via e a scegliere in modo consapevole.
Ma sono i modi che fanno crollare tutto, sono i soldi che le vengono offerti sia da una parte che dall’altra, 15.000 dollari per aiutarla a farsi una vita dopo la nascita del figlio, soldi che non vede l’ora di incassare e allora anche la controparte rilancia, altri 15.000 dollari per non desistere e per far sì che l’aborto faccia il suo corso.
Ruth si ritrova in mezzo allo scontro, ma l’unica cosa che le interessa sono i soldi per rifarsi una vita, magari in California – dato che non ha mai visto l’oceano – per riacquistare la dignità che le è stata tolta.
L’aborto dovrebbe essere una scelta libera e non demonizzata e vista alla stregua di un infanticidio.
E quindi Ruth Stoops cosa farà?
Sceglierà di schierarsi con i Pro-Vita, capitanati da un Burt Reynolds in forma smagliante, oppure deciderà di abortire?
E quindi come finisce Citizen Ruth?
Finisce nella maniera più giusta possibile.
Finisce con un miracolo, uno vero, uno di quelli che vengono anticipati da una forte luce calda che illumina tutto.
Ruth, la mattina dell’aborto chirurgico, scopre di averne avuto uno spontaneo, ma decide di non dirlo a nessuno.
Si reca alla clinica, in cui si sono radunate le due fazioni e dopo essere andata in bagno con la sacca piena di soldi, esce dalla finestra e semplicemente se ne va via, nella totale indifferenza della folla, impegnata a protestare e urlare.
Citizen Ruth è un film difficile, per tematiche e messaggio, ma allo stesso tempo tratta il tutto con estrema delicatezza e ironia.
Alexander Payne, al suo primo film in cabina di regia, si dimostra un predestinato, alla stregua di un veterano del settore.
Si sente il suo amore per la storia, per i personaggi anche i più grotteschi e si sente quel suo stile che nel 1996 doveva ancora prendere forma ma che io, che sto scrivendo questo articolo nel 2023, posso dire che già si vedeva con chiarezza.


Laura Dern è strepitosa e rende il personaggio di Ruth a tratti davvero insopportabile, soprattutto per la sua ignoranza, dovuta sicuramente alla vita difficile e vissuta ai margini della società.
Il suo personaggio si ritrova in una di quelle avventure alla Franz Kafka, in cui viene sballottata da una parte all’altra senza avere il minimo controllo della situazione.
Controllo che alla fine riesce ad acquisire e quando la vediamo camminare via con la sacca piena di soldi in spalle, speriamo che possa fare scelte più sensate, che possa rigare dritto, che la smetta di sniffare colla e magari perché no, che riesca a incontrare un uomo o una donna gentile o forse non le auguriamo niente, la lasciamo andare e basta e la lasciamo vivere e scegliere per sé, lontana dal caos, dalle fazioni, da quella società che si era dimenticata di lei.
Buona vita Ruth.
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