Ci sono storie che colpiscono maggiormente il nostro animo. Vanno a segno perché toccano tasti sensibili della nostra vita, in quella specifica fase della nostra vita. E quando percepiamo che una storia parla proprio a noi, non possiamo fare a meno di immedesimarci e proiettare quel flusso di pensieri sul nostro quotidiano. Questo mi è successo, e di questo vi racconterò, cari lettori. Vi anticipo che l’aria si farà pesante, noterete un tono a tratti polemico. Ma il fine ultimo di questo pezzo è più nobile di quanto possa sembrare sulle prime.
È tutta colpa di un gatto. Un simpatico felino che – state pronti – ha avuto l’onore di essere annoverato tra gli autori di un prestigioso articolo scientifico [1]. Si racconta infatti che negli anni ’70 del secolo scorso uno scienziato statunitense, Jack H. Hetherington, abbia ricevuto critiche da un suo collega per aver scritto un articolo usando il plurale “noi”, nonostante il pezzo fosse stato prodotto a due mani soltanto. In altre parole, non è consuetudine firmare un articolo scientifico con un solo nome, a maggior ragione se non si è scelto di impiegare il pronome “io” nel corso della dissertazione. Per risolvere questa impasse, Hetherington decise di estendere la lista di autori aggiungendo F. D. C. Willard, un individuo a lui molto caro. Sveliamo subito il mistero: questo nuovo secondo autore non è altri che Felis Domesticus Chester Willard, pseudonimo inventato di sana pianta per il suo adorato gatto. Si potrebbe dibattere a lungo sui motivi che stanno alla base di questa decisione da parte del fisico americano: c’è chi sostiene che, non avendo a disposizione gli strumenti di editing testuale che noi possediamo oggi, Hetherington potrebbe aver optato per questa strategia poiché sostituire tutti i termini al plurale con un “io” al singolare avrebbe richiesto molto tempo (era un’epoca in cui si scriveva a macchina…). Come in ogni commedia che si rispetti, J. H. Hetherington dovette poi fare i conti con intervistatori che si presentavano nel suo ufficio chiedendo di poter conversare con il suo collega. E si spinse fino al punto di pubblicare altri articoli inserendo come unico autore il felino stesso! L’avventura editoriale di F. D. C. Willard terminò alcuni anni dopo, con grande scalpore mediatico ma senza ripercussioni sulla carriera del fisico. Una sorte diversa fu riservata invece all’immunologa Polly Matzinger che nel 1978 sfruttò un escamotage simile affiancando il suo nome a quello del suo cane, Galadriel Mirkwood. In questo caso, gli editori scoprirono il fatto ed esclusero la ricercatrice dalle pubblicazioni nella loro rivista. Potrebbe sembrare quasi una favola da raccontare ai bambini per la buonanotte. Ma dietro ad un aneddoto apparentemente innocuo, si cela una grave falla nel sistema con cui la comunità scientifica contemporanea approva e condivide le proprie scoperte. Lo stesso Hetherington scrisse nel 1982 i motivi reali e profondi che lo convinsero a non accrescere la lista di autori nel suo articolo: in primo luogo, i compensi derivanti dalle pubblicazioni sarebbero diminuiti all’aumentare del numero di autori; in secondo luogo, il prestigio del suo lavoro ne avrebbe risentito.
(I colleghi ricercatori immunologi Polly Matzinger e Galadriel Mirkwood)
Come avrete intuito, il mondo delle pubblicazioni scientifiche è intriso di stranezze, agli occhi non avvezzi di chi lo scruta dall’esterno. Ma anche vivendolo dall’interno, cari lettori, vi posso assicurare che si resta sorpresi dalla lentezza, dalle pretese, e dalle incongruenze che dominano l’attività di scrittura svolta dai ricercatori in tutto il mondo. E nella maggior parte dei casi la colpa non è da ricercare in chi la scienza la sta scrivendo, ma in chi la gestisce: i gruppi editoriali!
Nonostante il passare del tempo, stupisce come la scrittura di articoli sia ancora il metodo essenziale e prevalente di illustrare alla comunità scientifica internazionale i risultati delle proprie ricerche, da quelle più di nicchia a quelle rivoluzionarie. In fondo, come esseri umani “scriviamo” da tempo immemore. Eppure, continuiamo a sceglierla come modalità preferita di comunicazione non orale, anche a livello ufficiale. È vero: audio e video oggigiorno la fanno da padroni, per non parlare del monopolio dell’immagine: il successo di Instagram ne è l’esempio. Però, a ben vedere, la pubblicazione di articoli non è stata (ancora) rimpiazzata da altri formati, seppure le immagini ricoprano un ruolo sempre più determinante, soprattutto in alcuni settori. Sia chiaro, intraprendere la lettura di un testo accademico non è come leggere un romanzo da spiaggia… Non è una scrittura come le altre, vive di vita propria, con regole interne talvolta strane, ma che cercano – in principio – di garantire rigore scientifico anche nel modoin cui i fatti vengono descritti. Tanto complesso e articolato, che se ne è fatta una professione (in realtà, un mondo sommerso di tante professioni): dal medical writer al regulatory affairs writer, passando per i comunicatori scientifici più comunemente intesi come divulgatori e l’editoria scolastica. Pubblici diversi richiedono registri diversi, questo lo si sa.
(Il prestigioso articolo scientifico di cui gli autori sono J. H. Hetherington e il suo adorato e amato gatto F. D. C. Willard)
Ma non è solo una questione di stile. È un mondo ostile in cui addentrarsi, specie per chi ci lavora o necessita di un passaggio obbligato attraverso la pubblicazione per concludere percorsi accademici quali il dottorato di ricerca. Volete qualche esempio di questa giungla editoriale? L’accesso agli articoli non è gratuito (talvolta nemmeno agli autori stessi), e il tempo di pubblicazione può essere molto lungo, mettendo a rischio la vita lavorativa dei ricercatori e delle loro famiglie in attesa di riscontri dalle riviste per poter arricchire il proprio curriculum e concorrere per finanziamenti spesso molto competitivi. Per “molto lungo” intendiamo anche diversi anni prima di poter vedere i propri risultati ufficialmente pubblicati sulle pagine di una nota rivista di settore. A questo si aggiunga anche il fenomeno delle riviste predatorie, ossia raccolte di pubblicazioni ottenute promettendo ai ricercatori delle scorciatoie che garantiscono una via di accesso privilegiata, ma ovviamente abbassando la qualità della ricerca descritta. Come veri predatori, questi editori vanno a caccia di articoli per rimpinguare il loro portfolio, senza tenere in considerazione però il vero valore dei temi affrontati. Ma perché, da scienziati, si dovrebbe accettare di vedere i risultati dei propri sforzi uscire su riviste di così scarso livello? La risposta è pronta: pubblicare è indispensabile ai ricercatori per procedere nella loro carriera accademica. Maggiore è il numero di articoli a proprio nome, e maggiore il parametro di impatto delle riviste su cui si è pubblicato, maggiore sarà anche la probabilità di riuscire a scalare la piramide professionale. Questo sistema induce perciò i ricercatori, soprattutto i più giovani, ad accrescere il proprio curriculum anche in modo fraudolento. Aggiungiamo anche che spesso i concorsi si basano sul numero di citazioni ricevute da un certo studioso: in principio si tratta di una pratica opportuna, poiché indica quanti altri scienziati nel mondo si basano sulle ricerche passate di quel determinato ricercatore, suggerendone implicitamente la qualità. Tuttavia, si è instaurato un meccanismo perverso per cui si tende ad autocitarsi per incrementare questo circolo vizioso, e a citarsi reciprocamente tra “amici” al fine di gonfiare tali indicatori.
Un discorso a parte merita la tanto discussa peer review, ovvero la procedura attraverso cui gli articoli scientifici vengono valutati da altri ricercatori esperti prima di essere pubblicati. Teoricamente efficace come idea, poiché prevede che si apportino modifiche suggerite da altri specialisti del settore in modo da migliorare i risultati riportati. Tuttavia, questo processo porta con sé numerose criticità. Per esempio, il ruolo di valutatore si svolge a titolo gratuito, non riconoscendo quindi alcun compenso per il proprio lavoro. Inoltre, può capitare che il proprio articolo venga vagliato da altri ricercatori che stanno portando avanti studi su argomenti simili, se non identici, inducendo perciò tentativi di “sabotaggio” del lavoro altrui. Il rischio di essere “scoopati” – come si dice in gergo – è reale. Ci si sta muovendo verso una direzione necessaria, rendendo ignoti gli autori dell’articolo a chi dovrà revisionarlo, proprio per evitare ripercussioni e strani giochi di potere. Comunque, è chiaro che ci sia qualcosa che non funziona a livello di sistema generale in questo ambito. Tra i vari problemi, ricordiamo anche i rischi derivanti dall’uso dell’intelligenza artificiale nella stesura, ma anche nella correzione di nuove ricerche. Omologazione, riduzione della qualità dei suggerimenti, appiattimento dello stile narrativo sono dietro l’angolo.
Negli anni non sono mancate, comunque, iniziative virtuose nel mondo dell’editoria scientifica. Open Science ne è un esempio paradigmatico [2]. Consiste in un nuovo approccio alla condivisione della conoscenza scientifica, che promuove l’accesso libero a tutte le fasi della produzione di dati scientifici. Un’iniziativa sostenuta anche dalla Commissione Europea, che sta trovando sempre più spazio nelle nuove ricerche, seppur ancora limitata dai costi necessari per “aprire” la scienza a tutto il mondo.
(Interessante davvero il fatto che su Internet non si trovi una sola foto dello scienziato statunitense Jack H. Hetherington, ma in compenso del suo gatto e collaboratore Felis Domesticus Chester Willard sì!)
Nel complesso, tuttavia, si perdono il senso e la voglia di star dietro ad un mondo così, e soprattutto ne va dell’integrità scientifica che sostiene le ricerche rese pubbliche. Perché certamente si vuole credere (o forse sperare) che la maggioranza degli studiosi si attenga ai dettami editoriali pur mantenendo fede al proprio ruolo istituzionale e di progresso per l’umanità, ma è inutile negare che una fetta – piccola, ma esistente – di scienziati sia disposta a tutto pur di vedere il proprio lavoro pubblicato su una rivista. Spinti dal denaro, dalla fama, dal totale disinteresse per l’onestà, anche intellettuale… poco importa. Ripetiamolo: non è predominante. Ma ogni male nasce da un germe minuscolo, che se non limitato si espande e ingloba ciò che lo circonda. Il confine tra la frode scientifica e l’accondiscendenza a certe pratiche immorali è labile: senza dubbio sconfortante per chi intende rimanere fedele ai propri valori etici più profondi.
Prima di congedarci, uno spiraglio di luce. Le difficoltà del mondo editoriale di cui ho scritto non indeboliscono la solidità dei molti progressi scientifici ottenuti finora. Se la nostra vita si è allungata, se la qualità della vita è migliorata, se il nostro sguardo sulla realtà è cambiato, è anche grazie agli sforzi di generazioni di studiosi che hanno dedicato le loro energie e il loro tempo ad una causa più grande: scoprire come funziona il mondo in cui viviamo, e raccontarlo in modo corretto e comprensibile. Abbiate fiducia nella scienza! E in chi la comunica! E anche se sembrerà una contraddizione, dubitate! Il pensiero scientifico si fonda proprio su questo. Il dubbio che si instilla, che mette alla prova ogni teoria. Se questa resiste, è ancora valida; se cede, va sostituita. Nella scienza nulla è per sempre. Anzi, se un’affermazione non viene mai messa in discussione, bisognerebbe tenerla d’occhio e… prenderla con le pinze.
Comunque sia, poiché ci stiamo avviando alla conclusione, mi preme evidenziare che anche io, al pari del signor Hetherington, starei per firmare un articolo con il mio solo nome… Giuro che è tutta farina del mio sacco! Ma se proprio dovessi aggiungere un collaboratore, non sarebbe certo un gatto. Piuttosto, indicherei la mia Voce interiore, che tra un giudizio severo e l’altro si degna anche di fornirmi qualche buon consiglio. Come quello di iniziare a scrivere: ora sì che mi sento più leggero dell’aria!
Mercuzio and Friends è un collettivo indipendente con sede a Torino.
Un gruppo di studiosi e appassionati di cinema, teatro, discipline artistiche e letterarie, intenzionati a creare uno spazio libero e stimolante per tutti i curiosi.
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