La Storia

DI LORIS MARTINO

L’anno scorso, a settant’anni dalla prima trasmissione seriale nel nostro Paese, la Radiotelevisione italiana ci ha lasciato ben poco da desiderare. Fra le numerose novità spiccava anche La Storia, miniserie tratta dall’omonimo romanzo di Elsa Morante.

Proprio il Secondo Dopoguerra, e la guerra stessa, ambientano le vicende, insieme ad una Roma della quale il conflitto non ha pietà. Ida, maestra vedova di origine ebraica, cerca di crescere i suoi figli Nino e Useppe, fra le soddisfazioni di una vita semplice, e grandi dolori

Riportando quanto mai fedelmente il significato dell’opera, la trasposizione aderisce a quel “neorealismo a colori” che emerge a mo’ di avanguardia nella recente serialità in Italia. Nulla di così innovativo rispetto a L’amica geniale e opere simili, ma in grado di riproporne lo stile per dialogare direttamente con tematiche attuali. In primis, la violenza di certi orrori, relegati solo in apparenza al passato, di cui la serie rende partecipi evidenziando il loro carattere universale. La miseria aleggia sopra ogni personaggio, vittima di stenti, della crudeltà altrui, dell’occupazione tedesca che lascia il posto agli alleati americani. Troppo simili ai nemici per poter parlare veramente di “liberazione”. 

Dalla condizione infima di questa gente affiora un senso di epicità, nell’opporsi alle logiche disumane della loro esistenza. Emblematica, in tal senso, l’empatia dimostrata dal partigiano Eppetondo, il quale persino di fronte alla tortura e alla morte sceglie di salvaguardare i suoi amici. A rimarcare il loro eroismo contribuisce un moderato livello di ironia, capace di stemperare, almeno in parte, la drammaticità. La stessa leggerezza di Ida, che indossa la maschera del sorriso al fine di celare la propria sofferenza.

Quello psicologico non è l’unico taglio a rendere le otto puntate un trionfo di significato umanistico. Grazie ad esse la Rai riscopre l’originaria funzione pedagogica: fare da Cicerone al pubblico tra grandi opere autoriali e memorie d’altri tempi. Se riesce il merito va alla scenografia, credibile e accurata, e a scelte fotografiche prive di elementi superflui, tanto da sembrare leggermente scarne.

Essenzialità” sembra essere il motto del cast, inoltre. Vestiti i panni della protagonista, Jasmine Trinca rappresenta senza strafare il dualismo nella sua emotività; mentre Mattia Basciani riporta sullo schermo esattamente l’Useppe morantiano. Un bambino dagli occhi incantevoli, con i quali guarda tristemente “volare via” nel tempo le persone a lui più care. 

Altrettanto magistrale il montaggio, che gioca con l’attenzione dello spettatore senza farla calare. Il ritmo delle ultime puntate accelera esponenzialmente, procedendo inesorabile verso la tragedia finale.

La Storia sembra una favola, come favolistiche sono le note della colonna sonora che l’accompagna. Odora di una vecchia pagina all’interno del libro dove si legge la nostra di storia, consumata a furia di leggerla. Ma perché ostinarci a piangerci su, ancora e ancora? A quanto pare non riusciamo a fare a meno di contemplare la vita, per quanto struggente sia, e non sempre a lieto fine. Questa, forse, è la morale.

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