DI PIETRO BERRUTO
“What do you do for work, exactly?” “I hunt… people”
Dialogo tra un uomo e Kraven su un ascensore.
Come ultimo titolo dell’SSU, a dicembre 2024, esce al cinema Kraven The Hunter, film incentrato sull’omonimo personaggio, interpretato da Aaron Taylor-Johnson e diretto da J. C. Chandor. Come spero sia stato reso esplicito in un mio precedente articolo sul personaggio, pubblicato, tra l’altro, proprio in occasione dell’uscita del film, Kraven è un antagonista estremamente interessante, con un buon mythos costruito su di lui e un aspetto riconoscibile e affascinante: allo stesso tempo è anche sfortunato, perché la sua storia più famosa (e quindi quella con più probabilità di venire adattata) è anche quella in cui muore, mettendolo in una posizione problematica sia nel mondo del fumetto, sia in quello degli adattamenti, poiché si presuppone che uno dei personaggi più importanti di un franchise non muoia durante il suo primo film. Inoltre, Kraven funziona soprattutto in opposizione all’Uomo Ragno, che, come già detto, non può essere presente in questa storia: il Cacciatore si trova perciò in un film che non può adattare la sua storia più famosa e non può combattere contro il suo avversario più importante.

La storia
Sergei Kravinoff è un giustiziere noto come “Il Cacciatore” che si infiltra in ambienti criminali per smantellare varie organizzazioni malavitose uccidendone i boss, ma non è sempre stato così: una volta era un ragazzino, un semplice scolaro che andava a scuola con il suo fratellastro, Dmitri. Il giorno del suicidio della madre di Sergei, Nikolai, il padre dei due, li costringe a partire per un safari in Africa allo scopo di insegnare loro ad essere uomini. Durante lo scontro con un leone, Sergei rimane ferito perché non ha voluto sparare all’animale, che infatti lo attacca: si salva miracolosamente solo grazie a una pozione magica curativa e potenziante datagli da un’altra ragazzina, Calypso. Tornato in America, Sergei si riprende in fretta e suo padre vuole costringerlo a seguire le sue orme e diventare un boss mafioso, ma lui scappa in Russia, dove si stabilisce in mezzo alla natura, convivendo con gli animali con i quali ha stretto un rapporto di affetto. Di nuovo nel presente, Kraven va a Londra per il compleanno di suo fratello, ora scagnozzo di suo padre, che intanto è in profonda crisi con un boss rivale, Aleksei Sytsevich. Sytsevich, uomo con gravi problemi di autostima, fa rapire Dmitri, pur volendo rapire Sergei, che ha identificato come “Il Cacciatore”: per sicurezza, ingaggia anche lo Straniero, un altro killer con il potere di fermare il tempo, ansioso di eliminare il Cacciatore. Poiché Nikolai non vuole accettare la richiesta di riscatto di Sytsevich, Kraven è costretto a farsi dare informazioni da Calypso, ora adulta e avvocato: le informazioni però sono sbagliate e Kraven finisce in una trappola. Ritornato nel suo santuario in Russia con Calypso, Sergei viene attaccato da Sytsevich, che porta con sé Dmitri per convincere i due fratelli a unirsi a lui: Kraven e Calypso uccidono sia lo Straniero sia il boss, ora trasformato in un uomo-rinoceronte chiamato Rhino, anche grazie a una seconda pozione che salva il Cacciatore in fin di vita. Avendo capito che in realtà è stato Nikolai a manipolare Rhino per rapire Dmitri, con lo scopo ultimo di riavere con sé il suo figlio preferito ed eliminare insieme la concorrenza, Sergei fa uccidere suo padre da un orso. Un anno dopo, Dmitri è ora il capo dell’organizzazione mafiosa e, stufo di essere “quello debole”, si è fatto mutare geneticamente dallo stesso dottore che ha modificato Rhino: con il ribrezzo di suo fratello, ora lui è il Camaleonte. Infine, Sergei riceve l’eredità di suo padre: una giacca di pelle di leone, simbolo della regalità e del dominio, segno di vera discendenza da Nikolai Kravinoff ed emblema del Cacciatore.

Rovesciamento e deprivazione
Kraven si trova in una condizione particolare, come film dell’SSU: se da una parte è evidente che abbia “imparato” dagli errori dei film precedenti, è altrettanto ovvio allo spettatore che il risultato non sia ancora sufficiente. Registicamente anonimo e scarso in recitazione (Taylor-Johnson fornisce, forse, una delle sue peggiori performance), Kraven finalmente sceglie di mostrare un minimo della brutalità che ci si aspetterebbe da un cacciatore di uomini, proponendo spesso delle scene d’azione che sono, perlomeno, convincenti e creative, come quella nel bosco in cui il protagonista attacca i mafiosi usando delle trappole per orsi. Sfortunatamente la trama vera inizia a metà del film, essendo tutto il resto dedicato solo ai flashback, fastidiosamente lunghi e allo stesso tempo inconcludenti. Di nuovo, però, sembra quasi che si voglia limitare l’uso delle cattive maniere da parte di un supercattivo in questo film su un supercattivo… che però non è un supercattivo.

Creare un “buon adattamento” non è facile: se, adattando un medium diverso da quello originale, l’opera è troppo simile a quella precedente, spesso capita che non si riesca a sfruttare completamente le peculiarità del secondo medium, producendo un’insipida copia carbone; allo stesso tempo, estraniandosi troppo dai temi e dalla storia, si perdono alcuni dei fattori che rendono interessante l’opera originale. Dovendo equilibrarsi tra questi due estremi, Kraven decide di cadere e ruzzolare sul secondo. Sergei Kravinoff è quindi privato di ogni cosa che lo rende tale, sia esteticamente che caratterialmente: se il Kraven dei fumetti è sporco, malefico e sadico, un’incarnazione degli ideali specisti della caccia e dell’aristocrazia, quello del film è un giustiziere, pulitino e curato, pur vivendo nella natura più selvaggia. Qui la mancanza di Spider-Man si sente più che mai: senza un eroe a cui opporsi, il più rancido degli antagonisti è depurato da ogni male, trasformato in quella che è la sua perfetta antitesi, ovvero un animalista. L’obiettivo del film rimane perciò quello di Morbius, ovvero creare un antieroe, una figura grigia, che però non è davvero tale, combattendo e uccidendo sempre per una giusta causa. Curiosamente, il carattere originale di Kraven viene proiettato sul padre Nikolai, ora un concentrato di tutti gli ideali patriarcali esistenti: questo tema è in effetti interessante e in esso si attua il conflitto principale della storia, ma nel suo svolgersi rivela incrinature e sbadataggini. L’influenza di Nikolai sui suoi figli provoca un desiderio di evitarlo in Sergei e uno di imitarlo in Dmitri, ma il finale sembra voler capovolgere questo fenomeno, rendendo Dmitri il Camaleonte (che però imita tutti tranne suo padre) e dando a Sergei la pelle di leone (simbolo della caccia, che lui ha sempre rifiutato, che però accetta senza ragione apparente negli ultimi secondi della pellicola). Di Kraven, quindi, non c’è niente di memorabile, ma soprattutto non c’è niente di coerente. Per un film il cui tema principale è il sessismo, il ruolo delle donne al suo interno è scarso in modo agghiacciante: la madre di Kraven (che non credo venga mai nominata, ma viene spesso sottolineata la sua morte) è un personaggio tragico ma di cui si sa pochissimo, privato di un qualsiasi modo di esprimersi (sarebbe bastato un flashback in cui legge una fiaba a Sergei per sottolineare l’affezione tra madre e figlio); Calypso è invece un caso molto più interessante, in mia opinione, ma non per questo non meno malfatto: comprensibile è la scelta di non adattare “1 : 1” il personaggio originale, che può essere considerato uno stereotipo razziale offensivo, ma allo stesso tempo il ruolo che riveste nella storia è piuttosto ridicolo, diventando informatrice di Kraven durante la storia (senza un motivo apparente, presupponendo che l’assassino professionista abbia già degli informatori) e avendo un rapporto bizzarro con la magia insegnata da sua nonna, di cui non viene mai spiegata l’origine, la natura o il funzionamento. Calypso, per quanto abbia delle opinioni e delle idee, sembra venga trascinata nella storia: non c’è una ragione per cui lei debba andare in Siberia, ma lo fa comunque, perché deve essere lì in quel momento per forza.

Lo spiritualismo in Kraven è un elemento importante nei fumetti, in realtà: già nell’Ultima Caccia di Kraven ci sono elementi di onirismo e magia, ma il film decide di adattarli senza adattarli, trattandoli come un mezzo anonimo e basta: sempre dall’Ultima Caccia, ritorna la scena dell’invasione dei ragni che attaccano Kraven, un’allucinazione causata dallo Straniero, ma nessuna spiegazione o informazione viene fornita al riguardo, generando solo una sterile citazione.
Quello che manca a questo film è, oltre a una trama e a delle motivazioni coerenti, un desiderio di rendere questo uomo-animale veramente tale, sia nelle azioni sia nelle idee: per fare un confronto banale, se questo film si fosse ispirato a una pellicola qualsiasi con Wolverine, il risultato sarebbe stato migliore. È un lungometraggio che all’ultimo si ricorda che il protagonista è tecnicamente un cattivo. Allo stesso tempo, il finale porta un’altra domanda: questo è l’ultimo film dell’SSU e cerca comunque di creare i presupposti per un seguito, quindi quand’è che si sono resi conto che l’SSU stava per morire? Quand’è che la Sony ha capito quando staccare la spina?


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