DI ROCCO DE GILIO
Il 13 agosto 2007, un’estate italiana insolitamente mite fu scossa da un evento di cronaca nera destinato a marchiare a fuoco la memoria collettiva: l’omicidio di Chiara Poggi a Garlasco, un tranquillo comune in provincia di Pavia. Da quel giorno, il nome di Chiara e quello del suo fidanzato, Alberto Stasi, sarebbero diventati inestricabilmente legati a uno dei casi giudiziari più controversi e mediaticamente seguiti della storia recente del nostro Paese. Una vicenda complessa, fatta di indagini minuziose, colpi di scena in aula e un verdetto finale che, pur avendo chiuso il capitolo giudiziario, non è riuscito a placare del tutto dubbi e interrogativi.

LA SCOPERTA E I PRIMI SOSPETTI: UN DELITTO SENZA EFFRAZIONE
Quando il corpo senza vita di Chiara Poggi, 26 anni, fu trovato nella sua villetta di Via Pascoli, la scena del crimine parlava di una violenza efferata ma, al tempo stesso, insolitamente “pulita“. Nessun segno di effrazione, nessuna finestra rotta o porta scardinata. Questo dettaglio cruciale spinse gli inquirenti a concentrarsi immediatamente sulle persone vicine alla vittima, in particolare su colui che aveva dato l’allarme: Alberto Stasi, fidanzato di Chiara e unico ad aver accesso all’abitazione.

Fin dalle prime ore, il comportamento di Stasi apparve agli occhi degli investigatori inusuale. La sua apparente calma, la lucidità con cui descrisse il ritrovamento del corpo e l’assenza di segni di particolare turbamento, contrastavano con l’orrore della scena. Ma furono gli elementi materiali a gettare le prime, pesanti ombre. Il computer di Chiara, ritrovato formattato, suggeriva un tentativo di cancellazione di tracce potenzialmente compromettenti. I residui di DNA della vittima repertate sul pedale del freno della bicicletta di Stasi e sul tappetino del bagno della sua abitazione, pur esigue, divennero indizi fondamentali. Inoltre, la ricostruzione dei tempi e dei movimenti di Stasi la mattina del delitto, legata al suo presunto giro in bicicletta, fu messa in discussione dalle perizie, che indicarono una tempistica incompatibile con la sua versione. Il quadro che andava delineandosi suggeriva un omicidio passionale o interno, difficile da attribuire a un aggressore esterno.
UN LABIRINTO GIUDIZIARIO: SENTENZE CONTRADDITTORIE E RINVII
La storia processuale del delitto di Garlasco è stata un vero e proprio percorso a ostacoli, caratterizzato da un’alternanza di verdetti che ha tenuto il Paese col fiato sospeso e ha evidenziato le complessità intrinseche del nostro sistema giudiziario.

Nel 2009, Alberto Stasi fu assolto in primo grado per insufficienza di prove, una sentenza che suscitò ampio dibattito e indignazione nell’opinione pubblica e nella famiglia Poggi. L’assoluzione fu confermata anche in appello nel 2010, basandosi sulla presunta inconsistenza del quadro probatorio e sulla possibilità, seppur remota, di un aggressore sconosciuto. Sembrava che il caso potesse chiudersi con un nulla di fatto, un omicidio senza un colpevole.
Tuttavia, la Corte di Cassazione, nel 2013, ribaltò completamente le precedenti decisioni, annullando le assoluzioni e rinviando gli atti a un nuovo processo d’appello. I giudici di legittimità rilevarono “vistose lacune” nelle indagini e nelle motivazioni delle sentenze, indicando la necessità di approfondire aspetti cruciali e di rianalizzare con maggiore rigore gli indizi raccolti. Fu un momento cruciale, che riaprì la speranza di giustizia per la famiglia Poggi.
Il processo d’appello bis, nel 2014, segnò una svolta decisiva. La Corte d’Appello di Milano, in un’attenta rilettura degli indizi e delle perizie, condannò Alberto Stasi a 16 anni di reclusione per l’omicidio di Chiara Poggi. La sentenza si basò su una ricostruzione che integrava gli indizi materiali con il comportamento di Stasi, riconoscendone la colpevolezza al di là di ogni ragionevole dubbio. Il lungo iter trovò la sua conclusione definitiva nel dicembre 2015, quando la Corte di Cassazione confermò la condanna, rendendola irrevocabile. Alberto Stasi entrò in carcere, mettendo fine, almeno sul piano legale, a una delle saghe giudiziarie più intricate d’Italia.
Nonostante la condanna definitiva di Alberto Stasi, il delitto di Garlasco non è mai uscito completamente dalle discussioni pubbliche e, per molti, continua a essere un caso con delle zone d’ombra. Alcuni sostenitori dell’innocenza di Stasi hanno sempre evidenziato presunte carenze investigative, la possibilità di depistaggi o l’esistenza di piste alternative che non sarebbero state adeguatamente esplorate. La mancanza di un movente chiaro e lampante è stata spesso sollevata come un punto debole dell’accusa, alimentando il dibattito sulla completezza della verità processuale.
Oggi, Alberto Stasi sta scontando la sua pena nel carcere di Bollate. Ha ottenuto permessi premio e la possibilità di lavorare all’esterno, segno di un percorso di riabilitazione previsto dal nostro ordinamento penitenziario. Il suo fine pena è fissato per il 2030, a quasi un quarto di secolo da quel tragico 13 agosto 2007.
Nel corso del 2025 le indagini vengono riaperte, gli indizi nuovamente analizzati e si spalancano nuovi scenari per il caso, al momento ancora in corso, che vedono coinvolto Andrea Sempio, amico del fratello di Chiara. Viene inoltre ipotizzata la presenza di più persone sulla scena del delitto e ventilata una pista relativa agli scandali del Santuario della Bozzola.

Il delitto di Garlasco rimarrà nella storia giudiziaria italiana come un caso emblematico di complessità investigativa e di resilienza del sistema processuale. Un caso che, al di là del verdetto finale, continua a interrogare la nostra capacità di fare piena luce su tragedie che, oltre a distruggere vite, lasciano cicatrici profonde nel tessuto sociale e nella fiducia nella giustizia.
Recentemente la posizione di Alberto Stasi è ritornata al centro del dibattito mediatico a causa delle nuove indagini che potrebbero riaprire dubbi sulla sua colpevolezza, sebbene la sua condanna in via definitiva resti valida e non sia ancora stata accolta alcuna richiesta di revisione.
Per quanto riguarda Andrea Sempio, amico del fratello della vittima e già indagato in passato, è nuovamente sotto i riflettori, sospettato di omicidio in concorso per via di nuove analisi che gli avrebbero attribuito una delle impronte mai identificate prima, e in relazione al DNA sotto le unghie di Chiara Poggi. È emersa una nuova perizia sull’impronta di scarpa n. 42 macchiata di sangue, che secondo alcune fonti potrebbe essere riconducibile a Sempio, mettendo in discussione la sua attribuzione a Stasi.
Parallelamente alle indagini sul delitto, è in corso un’inchiesta della Procura di Brescia che vede indagato l’ex Procuratore di Pavia, Mario Venditti, per corruzione e peculato. Si ipotizza che l’indagine su Sempio del 2017 possa essere stata insabbiata o gestita in modo irregolare, e che Venditti abbia ricevuto presunte utilità (si parla di somme di denaro e di un “pizzino” trovato a casa Sempio).


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