4 zampe – Circolo dei lettori

DI GIOSUE’ TEDESCHI

Perché siamo noi ad avere una conferenza sui delfini e non il contrario nonostante il loro cervello sia più grande e sviluppato? 

Si apre con questa domanda l’incontro con Maurizio Ferraris, filosofo torinese, al circolo dei lettori. 

Come in ogni incontro di filosofia sono le domande a guidare il discorso: com’è che siamo in cima alla catena alimentare? Sappiamo che non è per una superiorità fisica o per il cervello più sviluppato,  allora com’è successo? Come siamo passati da essere cacciatori e raccoglitori a parlare di decrescita felice

Dice Rousseau che con ‘qualche guaio’ ha iniziato a corrompersi l’uomo, quale sarebbe questo guaio? Le scritture fanno risalire il tutto ad Adamo ed Eva, al peccato della conoscenza che corrompe irrimediabilmente l’umano. In tempi più recenti il processo di secolarizzazione porta a pensare che sia biologico l’inizio di tutto.

Possiamo ipotizzare una madre natura benefica? O ci detesta ed eventi come il Covid sono il suo modo di punirci per come la trattiamo? 

E’ sempre il progresso che porta il male? Se non avessimo mai iniziato a mangiare i pipistrelli non ci sarebbe stata alcuna pandemia? Perché solo gli umani cambiano? Perché possiamo, con gran soddisfazione degli anziani, parlare di “giovani d’oggi” ma non si sentirà mai nessuno parlare di “coccodrilli d’oggi”? 

Perché gli organismi cambiano molto lentamente mentre la cultura cambia molto velocemente. Perché è meglio camminare su due che su quattro, si occupa meno spazio e si possono portare più cose. Il motivo per cui ci siamo potuti evolvere e i delfini no sarebbe che è difficile accendere un fuoco sott’acqua? 

Può darsi, e tutto ciò che esiste è dato da una serie di fortunati eventi che avevano la certezza di accadere prima o poi.

Secondo Rousseau l’uomo è degradato da scienza e tecnica che corrompono la sua natura e lo fanno diventare meno di come potrebbe essere per natura. Ma che natura ha in mente Rousseau? Una supposta natura umana? Esiste una cosa del genere?

“L’uomo è nato libero ed è ovunque in catene … com’è successo? Lo ignoro.”

Ma è davvero così, Rousseau? 

(Il filosofo Jean-Jacques Rousseau)

Secondo M. Ferraris l’uomo è strutturalmente dipendente ed è la tecnica che lo libera. Per fare un controesempio i gatti sono molto più liberi di noi, poiché non hanno bisogno di altro che sé stessi.

Possiamo forse parlare di Sindrome di Rousseau – intendendo con questo termine l’idea sbagliata per cui saremmo padroni della natura e schiavi della tecnica? E’ questo il frutto della secolarizzazione? 

Ferraris fa notare che sono gli umani che chiedono alle macchine di fare cose, in che modo ne saremmo allora schiavi?

La vita c’è e ce n’è molta altra in attesa dietro di noi; più che il pianeta dobbiamo salvare noi stessi, il nostro ambiente.

Se ti senti abbastanza coraggioso da salvare il pianeta allora tanto vale che punti a salvare l’universo intero per quello che vale.

Per come la vedo io tra noi e la tecnica c’è un rapporto di influenza reciproca. Noi influenziamo l’esistenza della tecnica, certamente, ma anche la tecnica influenza la nostra e come la viviamo.

Un esempio raccontato da Ferraris è quello del ministro del Reich processato a Norimberga, Sperl. Durante il processo ha sostenuto che la colpa non era solo sua o degli altri gerarchi nazisti, ma era soprattutto e in primo luogo dell’apparato tecnico che ha permesso di concentrare tanto potere nelle mani di un solo uomo.

(Il Processo di Norimberga)

Certo è una difesa traballante, come dire “Chi ha ucciso Cesare? Il pugnale ovviamente, certo non i congiurati nascosti.” 

Però quello che dovremmo davvero capire e internalizzare è che la tecnica risponde a bisogni, e sì in un certo senso ne crea di nuovi. La tecnica in sé non ha bisogni né volontà. 

Possiamo, secondo Ferraris, parlare di responsività come rapporto tra anima e automa. All’incrocio delle due vi è la nostra volontà e i nostri desideri di fare. Un orologio non ha il concetto del tempo, un coltello non sa cosa vuol dire tagliare, e un forno non ha voglia di cuocere qualcosa. E’ sempre l’anima a dettare fini, tempi e necessità. E questo perché ha un fine. 

Incontriamo qui il paradosso della finalità: solo ciò che ha una fine può avere dei fini: mentre un computer può accendersi e spegnersi tantissime volte, un organismo si accende solo una volta e quando si spegne è per sempre. 

Ed è proprio questo essere impermanente dell’organismo che gli permette di desiderare. 

Per concludere l’uomo è un animale non stabilizzato e che non lo sarà mai. Perché cambia sempre, continuamente, anche e soprattutto grazie alla tecnica. 

E dovremmo davvero liberarci della sindrome di Rousseau, così da non sentirci condannati mentre scriviamo il nostro futuro.

(“Tu quoque, Brute, fili mi!”)

Se sei appassionato di filosofia, leggiti questo articolo!!!

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