MISTERI DI VITA E MORTE (prima parte)

DI STEFI PASTORI GLOSS

Volata sul Picco dell’Aquila (1)

Il Picco dell’Aquila (1) è il monte Gridhrakuta, nei pressi di Rajagriha, nell’India centrale, dove si radunò l’assemblea dei discepoli del Budda. Nel tempo, è diventato sinonimo di morte. La morte fa parte della vita. In Occidente non ne parliamo abbastanza, ne abbiamo paura. Tutto ciò che non si conosce fa paura, perché nessuno è tornato indietro a raccontarci l’esperienza. 

Il 1° di luglio 2025 mia madre è mancata. Morta. Dà quasi fastidio questa parola, tra le alternative più dirette e formali di norma si preferisce deceduta, scomparsa, defunta, spirata, trapassata, cara estinta, o qualche metafora, come “volata in cielo”, “ora è in paradiso”, “non è più tra noi”. In buddese, “volata sul Picco dell’Aquila” o “passata in latenza”. La morte è un fatto imprescindibile del vivere. Accettarlo come una delle quattro fondamentali sofferenze della vita (nascita, malattia, invecchiamento, morte) è il primo passo per crescere in consapevolezza

Affronto l’argomento partendo dal vissuto, dalla mia vita. Se è vero che si deve parlare solo di ciò che si conosce, allora si parta da sé stessi. Preparatevi a un viaggio lungo e crudo, appassionante e pieno di sfide, leggero ma non superficiale. Sarà diviso in puntate.

Mi metto a nudo, come suggerisce Stephen King:

“Denuda uno scrittore, indicagli tutte le sue cicatrici e saprà raccontarti la storia di ciascuna di esse (…) Avrai romanzi, non amnesie. Un briciolo di talento è un buon sostegno, se si vuol diventare scrittori, ma l’unico autentico requisito è la capacità di ricordare la storia di ciascuna cicatrice”.

(L’autore Stephen King)

Fin da piccola, il rapporto tra me e mia madre fu conflittuale. La prima, ottimista contro ogni aspettativa. La seconda, pessimista cosmica. Una, anarchica e libertaria. L’altra, normativa e autoritaria. La prima elastica, e affettuosa. La seconda, rigida e anaffettiva. Fisiologiche differenze caratteriali che tra noi due facevano scaturire scintille. Durante l’adolescenza, cercai di liberarmi da quello che consideravo ingiusto giogo fuggendo di casa tre volte, per vedermi puntualmente riaccompagnata al nido materno. Papà era presente, ma demandava a mamma per quieto vivere.

Durante il liceo determinai di costruire un’autonomia economica che potesse rendermi indipendente entro la scuola secondaria. Al quinto anno del Liceo Scientifico, completai in parallelo gli studi dell’Istituto Superiore d’Arte serale, mentre il pomeriggio praticavo in un’Agenzia Pubblicitaria negli “Anni della Milano da Bere”. Conseguii un reddito tale che entro i due anni seguenti mi permise di acquistare un appartamento a una cinquantina di chilometri di distanza e di andarci a vivere con lo sposo, pur di allontanarmi da mamma.

Adesso sto attraversando giorni difficili (e va bene, ditemi nella vita quali non lo sono!; due giorni dopo il passaggio in latenza di mia madre, alla festicciola con amici stretti per il genetliaco di FabriBudda eravamo felici, ma tra le pieghe della felicità si nascondono i problemi, come la polvere sotto il tappeto: prima o poi, va spazzata comunque. Anche se “Non c’è tristezza per chi vola sul Picco dell’Aquila”. Cerimonia di commemorazione nazionale del Maestro Daisaku Ikeda).

(Il Maestro Daisaku Ikeda, filosofo e scrittore ed educatore buddista)

“La felicità non si trova da qualche parte distante da noi, è qualcosa che dobbiamo raggiungere per noi stessi grazie alla nostra lotta qui e ora” (Daisaku Ikeda, ‘Cos’è la rivoluzione umana’, esperia, pag. 28).

Mia madre Maria Luisa Adelaide Domenica ha sempre rifiutato di fare del movimento che invece le avrebbe prevenuto la perdita di calcio dalle ossa; ed è caduta spesso negli ultimi anni, provocando sorprendentemente meno fratture rispetto alla diagnosi. Maria Luisa nel mio romanzo ‘Fuochi d’Artificio’ (Ciascuno a Suo Modo. FUOCHI D’ARTIFICIO, Brè Edizioni, al Salone del Libro di Torino 2025 – Dol’s Magazine) è diventata Luisella: preferisco ricordarla nella traslazione di un suo ricordo da decenne, a Intra – Verbania dove nacque quasi 93 anni fa, che non nel sogno di stanotte. Le ultime immagini di mia madre da viva sono niellate nelle circonvoluzioni del cervello e si sono riprodotte peggiorate durante un incubo. Gli incubi ci parlano senza filtri.

Il bacino sbriciolato per quella forte pregressa osteoporosi da mancanza di movimento, annegata nella barella dell’ambulanza che dal CTO di Milano l’ha trasportata in una struttura medica per il lungo recupero che l’aspetta, il pigiama tra i più sfibrati che ha, lei sempre così ‘a modino’, stretto e stropicciato su un corpo che un tempo vedevo alto e possente e adesso è rimpicciolito e rinseccolito, la borsetta floscia stretta sul petto, scelta tra le più orrende e pure in similpelle per non attrarre ladri d’ospedale, le mani ormai noccolute artigliate sui manici consunti, il naso a becco che vuole volare via dal viso smagrito. Gli occhi strabuzzati, stralunati, impauriti e violenti. 

Pago i barellieri…

CONTINUERÀ NELLA SECONDA PARTE.

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