DI GABRIELE DE BENEDETTI
Esattamente un cinquantennio fa il film di Spielberg approdava nelle sale cinematografiche statunitensi, ridefinendo il cinema moderno.

È una splendida serata di fine giugno nella pacifica località balneare di Amity Island. Un gruppo di ragazzi si riunisce attorno a un falò sulla spiaggia per passare una notte all’insegna del divertimento e della spensieratezza. Tra questi figura una giovane donna che inizia a fare gli occhi dolci a un suo coetaneo in evidente stato di ebbrezza. Bastano due chiacchiere veloci per accendere l’interesse di entrambi, ed ecco che la ragazza prende il via verso il mare con l’intenzione di fare un bagno notturno insieme a lui, che finisce tuttavia per addormentarsi sbronzo sul bagnasciuga. Lei perciò si ritrova da sola in mare… o almeno così crede. Bastano due note ripetute incessantemente in un continuo, assordante crescendo e una ripresa dal basso che lentamente si avvicina alla giovane per far intendere allo spettatore quello che sta per accadere… e ha così inizio l’incubo.
È proprio questo uno dei maggiori punti di forza de Lo Squalo. Nascondere, celare sotto il pelo dell’acqua un pericolo ignoto, quasi inconoscibile, che potrebbe colpire da un momento all’altro. Si tratta di un predatore che non è solamente un semplice animale, ma un killer spietato, spinto unicamente da un insaziabile appetito. Inizialmente il mostruoso pesce da tre tonnellate aveva uno screen time decisamente più considerevole, ma i continui malfunzionamenti degli animatroni utilizzati per portarlo su schermo costrinsero Spielberg ad adottare altre soluzioni, tra cui figurano riprese in prima persona dal punto di vista dell’animale (che gli danno quasi un ruolo da coprotagonista) e la già citata colonna sonora composta unicamente da due note (il mi e il fa). Diversi elementi che insieme riescono ancora al giorno d’oggi a causare nello spettatore medio un continuo stato di inquietudine ogni volta che lo sguardo di uno dei personaggi si posa sul mare. Si può quindi parlare di thriller, siccome buona parte del film si concentra sul cercare e individuare un assassino che sembra invisibile, per poi rivelarsi in tutta la sua mostruosità e brutalità solo a metà di esso. Il tutto però prende improvvisamente un’altra piega. Da una storia che sembra richiamare a un giallo si passa al filone avventuroso, con tre improbabili eroi su una barca sgangherata a caccia di un nemico comune, diabolicamente intelligente nel tendere le sue imboscate. Ecco allora che i ruoli di preda e predatore iniziano a confondersi, con il grande pesce che da preda cacciata diventa cacciatore, in una specie di perverso gioco del gatto col topo fino all’esplosivo finale.
Ora, mi sembra doveroso spendere qualche parola sui protagonisti della vicenda.
Matt Hooper, interpretato da Richard Dreyfuss, è il giovane oceanografo che rappresenta la razionalità e il pensiero scientifico all’interno del gruppo. È curioso, intraprendente e ha una profonda conoscenza degli squali, ma la sua competenza è spesso messa in discussione da Quint (Robert Shaw), burbero cacciatore di squali con alle spalle un passato nella marina militare. Leggendario il suo monologo sul disastro dell’Indianapolis, causa primaria della sua ossessione per i grandi pesci predatori, che lo fa assomigliare a un novello Achab a causa della sua tracotanza. Abbiamo infine Brody, interpretato da Roy Scheider, capo della polizia di Amity Island. Un uomo pragmatico e determinato, desideroso di proteggere la comunità dell’isola e la sua famiglia (nonostante la sua talassofobia), cosa che lo porterà a scontrarsi con l’odioso sindaco Vaughn, disposto a chiudere un occhio sulle orribili morti causate dallo squalo pur di tenere aperte le spiagge e arricchirsi.

Sempre in tema di affari, si può dire che Lo Squalo ha segnato la nascita del blockbuster moderno, stabilendo un nuovo modello di distribuzione e marketing cinematografico. Prima della sua uscita nel 1975, le produzioni cinematografiche tendevano a concentrarsi su film di qualità o opere d’autore, ma Spielberg ha dimostrato che un film “commerciale”, sostenuto da una campagna pubblicitaria massiccia e da un’uscita simultanea in numerosi cinema, poteva generare incassi straordinari, anche in una stagione magra come l’estate (va detto che fino ad allora era un suicidio decidere di distribuire un film in quel periodo). Questo ha portato a una nuova era di film d’azione e avventura, molti dei quali probabilmente non avrebbero mai visto la luce senza questo illustre predecessore.
Tuttavia, il film ha anche influenzato negativamente la percezione degli squali. Spesso considerati come predatori spietati e pericolosi, sono stati soggetti a una cattiva reputazione che ha portato a un aumento della caccia e della paura infondata nei confronti di queste creature vitali per l’ecosistema marino, nonché alla produzione di innumerevoli altre pellicole di dubbio gusto che vedono come antagonisti i grandi pesci predatori (la cosiddetta Jawsploitation). È importante riconoscere il valore artistico e narrativo de Lo Squalo, ma è altrettanto fondamentale superare il modello distorto che ha creato attorno a questi animali, per cui lo stesso Spielberg a posteriori ha fatto mea culpa. La rappresentazione cinematografica non dovrebbe oscurare il loro ruolo ecologico e la necessità di proteggerli, spostando il focus dalla paura alla consapevolezza e al rispetto per la vita marina. In questo modo, il film può essere apprezzato non solo per la sua innovazione e il suo impatto sulla cultura pop, ma anche per la riflessione che offre sulla relazione tra uomo e natura.


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