DI GIOSUE’ TEDESCHI
Come nasce un film cult? American Psycho non dà la risposta ma porta sulla buona strada. Un film assolutamente da vedere, da conoscere, non bellissimo ma fondamentale – basico.
Seguiamo Patrick Bateman, consulente finanziario che si aggira per la New York del 1987 con troppi pensieri in testa.
Con un tipico lavoro da Americano nel mondo della finanza la sua vita è piena di puttane, cocaina, serate con gli amici e tutto il resto. Tuttavia ha un grande problema: non sopporta il successo degli altri. Non riesce proprio ad accettare che qualcuno riesca meglio di lui, che faccia più soldi, abbia un appartamento più bello o un biglietto da visita più raffinato. E quindi che fa? Beh, se ne libera. Dopo la prima vittima scopre che uccidere gli dà quella scarica di potere che gli manca nella vita di tutti giorni; così la notte si lascia andare alla sua follia e uccide ancora e ancora.
Questa psicosi non è però motivata, non abbiamo le sue ragioni personali, non sappiamo perché lo fa. Lo seguiamo da molto vicino, sentiamo i suoi pensieri e la narrazione è sua, eppure non riusciamo a capire da dove nasca la follia. Forse perché neanche lui lo sa, forse perché per uscir matti non serve un motivo.
Si abbandona sempre più spesso al suo istinto omicida, una discesa nella pazzia che lui stesso non prova a spiegarsi. Non ha emozioni, lo dice lui stesso, e quindi perché considerarle? Come possiamo fare a connetterci con lui se non ha emozioni?

Cos’è che ci tiene attaccati allo schermo allora? Forse vogliamo che venga fermato, forse vogliamo capire il perché della sua psicosi; la sensazione è quella di essere intrappolati in attesa di un evento, una rivelazione. La vita da consulente finanziario a New York.
Ma la vita non è così complicata come sembra a volte, magari lui è semplicemente uno psicopatico e non c’è niente da fare. Possiamo incolpare la routine, la droga, la competizione, la pressione sociale magari; ma niente di tutto ciò spiega davvero cosa passi per la testa di Patrick Bateman mentre colleziona vittime.
Dopo un viaggio in taxi e una folle corsa grondante di sangue per i vicoli di New York fino ai suoi uffici abbiamo il momento che aspettavamo, il grande evento: chiama il suo avvocato e gli confessa tutti gli omicidi che ha commesso, in quali circostanze e con quali intenzioni. Confessa tutto, fino all’ultima goccia. L’avvocato però ne ride, e attacca il telefono.
Il giorno dopo s’incontrano e Patrick ritenterà di dichiararsi colpevole di tutto, vuole che gli venga riconosciuto, se non altro, il merito di essere un assassino, un malato. Ma anche questo gli viene negato: l’avvocato ha cenato con la sua prima vittima, a Londra, solo pochi giorni prima. Non l’ha dunque uccisa a quanto pare. Ma allora cos’è successo?
“Questa confessione non ha nessun significato”.
Non sarà punito, non si libererà del suo peso, ha immaginato tutto?
Il narratore è inaffidabile, non sai cos’è vero finché non ottieni il confronto con qualcun altro. E anche quando arriva, siamo sicuri che abbia immaginato tutti gli omicidi? Anche il barbone? Anche la prostituta?
E se tutto ciò che abbiamo visto era nella sua mente, cosa succedeva in realtà?
In stile pienamente americano, grandissimo, sfarzoso, splendente, troppo americano per essere di gusto; un po’ come Aldo, Giovanni e Giacomo riescono a fare con l’essere italiani, questo film rappresenta l’Americano tipo. L’americanità, se mi permetti. È anche comico? Forse sì, per certi aspetti troppo esagerati American Psycho può essere considerato un film comico.
Trovo che abbia avuto un’importante influenza sui film successivi, primo fra tutti mi viene in mente la serie tv You. Ha copiato palesemente da American Psycho e ha migliorato quelle parti che la rendono una serie unica.
Ma quindi alla fine li ha uccisi o no? Io credo di no, era tutto nella sua testa, perché è lì che nasce la follia, e a volte finisce anche lì. La vera domanda allora è: ucciderà ancora?
Ci sono tre considerazioni base da fare, secondo me, quando si cerca di speculare sul seguito di una storia:
1. Come fa adesso continuerà a fare – cioè non ci aspettiamo che il personaggio cambi ancora oltre la fine della storia;
2. Cercherà di continuare a essere la persona che è – aderire all’immagine che ha di sé;
3. Proverà a cambiare – se ci riesce è da vedere.


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