A pesca nelle pozze più profonde (Paolo Cognetti)

DI GIOSUE’ TEDESCHI

Non esiste pesca a mosca se non si cercano risposte alle domande.

Questo libro mi è stato prestato, e non potrei esserne più grato. Una piccola perla, non so dove sia stato scovato. Chiunque cerchi una riflessione sulla scrittura o abbia voglia di una nuova, ottima prospettiva nell’analisi dei racconti che legge dovrebbe passare da questo libro.

Da scrittori dovremmo continuare a chiederci: che cos’è che sto davvero vedendo? E subito dopo: che cosa sto ricordando?

La primissima e importantissima cosa che insegna questo libro la trovi dietro la copertina: come scrivere i crediti. Finalmente, e dico finalmente, dei titoli di testa e di coda scritti bene. Si capisce chi ha fatto cosa senza impazzire. Magari sono solo io che ho sempre avuto questo problema, ma finalmente ho trovato una soluzione e qualcuno che la applica. 

Paolo Cognetti procede poi per tutta la durata del libro con una serie ininterrotta di brillanti analisi e riflessioni sull’arte di scrivere racconti. Molte accompagnate da metafore mutuate, come penso già immagini, dalla pesca a mosca. Come preparare l’esca, aspettare il momento giusto, pescare una storia. 

È così chiaro nell’esposizione che mi stupirei se non venisse usato, almeno da qualche parte, come manuale di studio. Per scrivere certo, ma anche per leggere.

Sul finale invece ci regala alcuni racconti, all’apparenza scollegati tra loro, per illustrare magistralmente di cosa stava parlando. 

Una delle osservazioni più semplici e più importanti che ho trovato è quella che un personaggio ha tre luci. Come nel cinema si usano solitamente tre luci per illuminare gli attori: luce chiave, luce di riempimento, e controluce. La luce posteriore dà profondità, la luce diretta risalta i lineamenti del volto, e quella più tenue ammorbidisce le ombre. Immagina di applicare questa logica alla definizione di un personaggio; è così facile ed intuitivo, quasi naturale. È inevitabile chiedersi: perché non ci ho pensato prima? 

Chi siamo o chi ci piace pensare di essere. Ecco cos’è quello che si ricorda

Mi è venuto naturale, una volta terminato il libro, scorrere indietro. Magari perché ero sul tram e non avevo molto altro da fare, magari perché la storia è breve ma immersiva, magari perché volevo assorbire ogni cellula di quella cellulosa impreziosita; magari perché come la protagonista dell’ultimo racconto anche io torno a credere in Dio, ad essere solo cellule, e poi solo due persone in un letto.

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