DI SARA MORENA
Buon pomeriggio a tutti, bentornati al nostro appuntamento sabatico con il mondo dell’animazione. Oggi inauguriamo una rubrica dedicata ai lungometraggi di uno studio nato negli anni ’70 grazie a George Lucas, che ha aperto le porte alla rivoluzione digitale del nuovo millennio. Stiamo parlando della Pixar. Questo studio di animazione nacque col nome di Lucasfilm Computer Graphic Project, e fu avviato dal suddetto regista in seguito alla produzione di Star Wars – Una nuova speranza. È a questo film che dobbiamo la nascita della Pixar, che iniziò come divisione della Lucasfilm per lo sviluppo degli effetti speciali e delle nuove tecnologie.

Successivamente, la Pixar ampliò i suoi orizzonti, prendendo la strada che la portò a diventare uno studio vero e proprio, poiché in essa lavorarono figure che sognavano di far parte del mondo dell’animazione disneyana, fra cui Edwin Catmull. Ma la mancanza di talento artistico di quest’ultimo lo indusse a cercare sbocchi attraverso altre vie, che egli trovò nelle conoscenze tecnologiche, e riuscì a realizzare i primi effetti digitali in 3D. In questo contesto venne fuori un’altra figura, John Lasseter, il quale aveva alle spalle esperienze di animazione, in quanto dipendente licenziato dalla Disney, che vide nella Pixar un grande potenziale, per il quale ritenne che le tecniche digitali potevano essere applicate alle leggi dell’animazione tradizionale disneyana.

Negli anni ’80 la Pixar iniziò a diventare oggetto delle attenzioni della Disney. Lo studio di animazione realizzò sempre di più che la tecnologia avrebbe potuto facilitare e accelerare le procedure di produzione dei film animati, e questo portò all’affiliazione dello studio digitale alla Disney. Cominciò così la storia dell’animazione in digitale disneyana, seppure fu inizialmente solo appannaggio della stessa Pixar, considerata sempre come divisione interna a uno studio, e solo più tardi la CGI fu impiegata anche nei Classici Disney. I due studi ebbero una prima collaborazione con il film La Sirenetta, al quale la Pixar contribuì animando l’arcobaleno nella scena finale.

Data questa introduzione, possiamo orientarci sul primo, celebre, film di animazione in digitale che salta alla nostra memoria. Un film del 1995, stiamo parlando di Toy Story – Il mondo dei giocattoli. Una storia che parla di giocattoli viventi, dando forme alle più intime fantasie infantili. Tutti i bambini sognano che i loro giocattoli possano avere un’anima, i giocattoli per un bambino sono fedeli compagni e con Toy Story tutto questo diventa realtà, presentandoci Andy, un bambino come tutti gli altri che ha tanti giocattoli i quali, a insaputa degli umani, possono parlare, si muovono autonomamente e provano emozioni e sentimenti, e sono molto legati al loro padroncino, comprendendo quanto per lui siano importanti. Fra i giocattoli di Andy ce n’è uno in particolare, il cowboy Woody, che è il favorito del bambino. Nella situazione attuale, la famiglia del padroncino sta progettando un trasferimento, e di fronte a questo i giocattoli temono che qualcuno tra loro verrà abbandonato. Ad aggravare le cose sono i regali di compleanno per Andy, molti dei quali sono nuovi giocattoli. Uno di questi è lo space ranger Buzz Lightyear, che diventa il maggior oggetto delle attenzioni di Andy, suscitando l’invidia di Woody, che teme di essere rimpiazzato.

Il tema centrale di Toy Story è il gioco, ma non solo. Il gioco è qualcosa che tutti abbiamo sperimentato da bambini, e secondo la psicologia è ciò attraverso cui il bambino impara a conoscere, sperimentando diverse realtà ed emozioni. In modo analogo qui gli stessi giocattoli provano emozioni, e vengono resi umani. Da quelle stesse emozioni ogni giocattolo apprende qualcosa, fra di loro in particolar modo Woody e Buzz. . Infatti Woody, di fronte al timore di perdere il proprio piedistallo come giocattolo preferito del padroncino, commette errori e da quegli errori impara l’importanza dell’umiltà e dell’amicizia, finendo per aiutare Buzz ad evolversi. Lo space ranger non sa di essere un giocattolo, è convinto di essere davvero il suo personaggio, e presto la realtà dei fatti lo pone davanti alla verità, che impara ad affrontare solo grazie all’aiuto del suo stesso rivale. Tramite il film, dunque, il gioco diventa reale, mantenendo la sua stessa funzione di apprendimento attraverso una storia che diverte i bambini, e che suscita una dolce nostalgia negli adulti che ricordano di essere stati bambini e i tempi in cui anche loro hanno giocato. Ma, sopra ogni altra cosa, Toy Story insegna l’importanza di avere cura dei propri giocattoli. Ovviamente, nella realtà il giocattolo non può avere un’anima come nel film, però rispettarlo è un altro modo per imparare, perché rispettando i beni che possediamo impariamo a rispettare anche gli altri e garantiamo una maggiore durata a quello che abbiamo.
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