DI GABRIELE DE BENEDETTI
“Oltre dieci anni fa usciva nelle sale di tutto il mondo quella che a prima vista poteva sembrare una deludente operazione commerciale per sfruttare la figura di Megan Fox”
Il 2009 fu una buona annata per il filone horror. Quell’anno uscirono titoli del calibro di “Drag me to Hell” di Sam Raimi, il divertentissimo (e demenziale) “Benvenuti a Zombieland”, insieme a titoli meno riusciti come il reboot di “Venerdì 13”, che provava a rilanciare la figura del boogeyman Jason Voorhees.
È in questo periodo che si inserisce “Jennifer’s Body”, pellicola diretta da Karyn Kusama, regista e sceneggiatrice statunitense divenuta famosa grazie al film indipendente “Girlfight”, che lanciò tra l’altro la carriera di una Michelle Rodríguez alle prime armi.
Ma bando alle ciance, partiamo subito con la trama del film: Jennifer Check (Megan Fox) e Anita “Needy” Lesnicki (Amanda Seyfried) sono due giovani studentesse liceali che in comune hanno poco o niente. La prima è la ragazza più popolare della scuola che tutti sognano di invitare al ballo di fine anno, mentre la seconda è timida e introversa, ma nonostante le profonde differenze sono amiche d’infanzia inseparabili. Una sera le due si recano nell’unico locale della cittadina in cui vivono per assistere al concerto di una rock band emergente, e a seguito di un incendio in cui perde la vita un gran numero di persone, Jennifer viene rapita dai membri della suddetta band durante il pandemonio creatosi, per essere sacrificata a niente popo di meno che a Satana (originale, vero?), in modo che questi possano ottenere la fama da lungo tempo bramata. Qualcosa però va storto durante il rituale e Jennifer anziché morire si trasforma in un demone affamato di carne umana, nello specifico quella dei suoi non proprio brillanti compagni di scuola, seminando una scia di morte che potrà essere fermata solo dall’amica Needy. Fin qui nulla di troppo complicato; il film scorre senza troppi problemi e fra un effetto speciale brutto da un lato e una recitazione ancora peggiore dall’altro raggiunge l’abbastanza ovvia conclusione.
Ma cos’è quindi che rende Jennifer’s Body un film sorprendente? La risposta è da ricercarsi nel personaggio interpretato da Megan Fox, la quale nella campagna di marketing del film era stata presentata come la risposta rivolta ad un pubblico maschile del ben più famoso Edward Cullen di Robert Pattinson: un’icona sexy che interpreta la figura della femme fatale adescatrice di giovani uomini.
Il film tuttavia racconta tutta un’altra storia. A differenza del vampiro di Twilight, sempre composto, affascinante e quasi mai feroce, quella interpretata dalla Fox è una creatura violenta, a tratti addirittura bestiale, che uccide le sue prede con un certo sadismo e ne beve il sangue per mantenersi bella e forte (per certi versi ricorda la figura della realmente esistita contessa Erzsébet Báthory). Da notare anche la quasi totale assenza di figure maschili protagoniste all’interno del film in cui i maschietti potessero identificarsi, laddove Twilight aveva Bella come figura di riferimento per le ragazze. Viene quindi da chiedersi se questo film fosse veramente rivolto ad un pubblico prevalentemente maschile, e la risposta è semplice: no. Se si legge tra le righe, Jennifer’s Body è più annoverabile nel sottogenere del Rape and Revenge che non tra le commedie horror erotiche. Quella di Jennifer è una vendetta simbolica nei confronti dei suoi aggressori che si sono sbeffeggiati del suo dolore e della sua disperazione, sacrificandola in nome della propria fama, e se nel 2009 questo concetto non era riuscito ad emergere (soprattutto a causa della già citata campagna di pubblicizzazione), ad oggi grazie alla maggiore attenzione sul tema della violenza sulle donne é possibile vedere il film in una visuale diversa, e in un certo senso più matura.
Con questo non si sta dicendo che Jennifer’s Body sia un buon film; i problemi ci sono comunque (pessime prove attoriali ed effetti speciali abominevoli anche per quel periodo su tutti), ma è sicuramente il caso di rivalutarlo sul piano contenutistico, poiché fu un evento più unico che raro che un film horror di quel periodo potesse veicolare un messaggio così forte.
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