DI ROCCO DE GILIO
Il delitto dell’Olgiata, come un’ombra lunga e inquietante, ha segnato profondamente la cronaca italiana degli anni Novanta e si è protratto per decenni, trasformandosi in un’epopea giudiziaria e un caso mediatico che ha tenuto il pubblico con il fiato sospeso. È la storia di un omicidio avvenuto in un contesto di lusso e apparente serenità, che ha rivelato le fragilità e i segreti nascosti dietro la facciata di una vita da alta borghesia romana.

LA VITTIMA E IL CONTESTO
Il 10 luglio 1991, Alberica Filo della Torre, contessa di nobile lignaggio e moglie dell’imprenditore Pietro Mattei, venne trovata morta nella sua villa all’Olgiata, un esclusivo comprensorio residenziale alle porte di Roma. Quella sera, la coppia avrebbe dovuto celebrare il decimo anniversario di matrimonio con una grande festa. L’atmosfera, invece, si trasformò in un dramma. Alberica, 42 anni, era una donna elegante e discreta, madre di due bambini, la cui vita sembrava scorrere in modo impeccabile, lontana dai riflettori della cronaca mondana, ma ricca di relazioni importanti e di un solido status sociale.

Il ritrovamento del corpo avvenne in circostanze misteriose. La donna giaceva nella sua camera da letto, colpita alla testa e strangolata. La porta era chiusa a chiave dall’interno, un dettaglio che sin da subito fece pensare a una messa in scena per depistare le indagini o, peggio ancora, a un delitto commesso da qualcuno di molto vicino alla vittima, in possesso delle chiavi o di una copia. Dalla casa, apparentemente, erano spariti alcuni gioielli, un elemento che orientò inizialmente gli investigatori verso l’ipotesi della rapina, ma che, alla luce degli sviluppi successivi, si rivelò essere un possibile “depistaggio” voluto dall’assassino.
LE PRIME INDAGINI
Le prime fasi dell’inchiesta furono caratterizzate da una frenetica attività investigativa, ma anche da una serie di vicoli ciechi. Furono esaminate le relazioni personali e professionali della contessa, i suoi amici, i conoscenti, e ovviamente i membri della sua famiglia e del personale di servizio. Le indagini si concentrarono a lungo su diverse piste, tra cui quella passionale e quella del delitto interno.
Tra i principali sospettati ci fu fin da subito un ex maggiordomo filippino, Manuel Winston Reyes, che era stato licenziato dalla coppia due mesi prima dell’omicidio per problemi di alcolismo e per aver rubato una piccola somma di denaro. L’uomo, interrogato, si dichiarò innocente e, data la mancanza di prove concrete, fu rilasciato. La sua testimonianza, però, non convinse mai del tutto gli investigatori, che non riuscirono a dimostrare la sua colpevolezza.
Con il passare del tempo, la mancanza di prove schiaccianti e la complessità di una scena del crimine che sembrava contraddire ogni logica, portarono il caso a un’impasse. Il fascicolo fu archiviato e il delitto dell’Olgiata divenne uno dei “cold case” più famosi e discussi d’Italia. La famiglia Mattei, tuttavia, non si arrese mai, in particolare il marito di Alberica, Pietro, che non smise mai di chiedere che la verità venisse a galla.
LA SVOLTA SCIENTIFICA E LA RIAPERTURA DEL CASO
Vent’anni dopo, la svolta arrivò inaspettata, grazie al progresso scientifico. Le nuove tecnologie del Reparto Investigazioni Scientifiche (RIS) dei Carabinieri permisero di rianalizzare con strumenti moderni le prove raccolte all’epoca, che erano state conservate con grande cura. Un pezzo di lenzuolo sporco di sangue e muco, ritrovato vicino al corpo della contessa, si rivelò essere l’elemento chiave. All’epoca, le tecniche di analisi del DNA non erano ancora sufficientemente precise, ma nel 2011 fu possibile estrarre un profilo genetico completo.

Questo profilo fu confrontato con il database delle persone sospettate e, in breve tempo, si arrivò a un’identificazione clamorosa: il DNA apparteneva proprio a Manuel Winston Reyes. L’uomo, che nel frattempo si era costruito una nuova vita in Italia, con una famiglia e dei figli, fu rintracciato e nuovamente interrogato. Messo di fronte all’evidenza schiacciante della prova del DNA, confessò l’omicidio.
LA CONFESSIONE E IL PROCESSO
La confessione di Reyes fornì finalmente un quadro chiaro degli eventi di quella tragica notte. L’uomo, mosso dal risentimento per essere stato licenziato, si era introdotto nella villa con l’intento di rubare. La sua intenzione, a suo dire, non era quella di uccidere, ma la situazione degenerò quando si trovò di fronte alla contessa. La donna lo riconobbe e, spaventata, urlò. Per metterla a tacere, Reyes la colpì e poi la strangolò, in un raptus di terrore e rabbia. I gioielli mancanti furono probabilmente presi in un secondo momento, per simulare una rapina.
Manuel Winston Reyes fu processato e condannato a 16 anni di reclusione con rito abbreviato. Sebbene la pena possa apparire mite a molti, fu il frutto di un processo che tenne conto del fatto che l’uomo avesse confessato e collaborato con le autorità. La sua scarcerazione, avvenuta nell’ottobre del 2021, dopo aver scontato poco più di dieci anni di carcere, ha riaperto vecchie ferite e ha sollevato nuovamente il dibattito sull’efficacia del sistema giudiziario.
Il delitto dell’Olgiata rimane una storia di grande impatto emotivo e mediatico, un monito su come i crimini più efferati possano nascondersi dietro un’apparente normalità e su come la giustizia, anche se a volte lenta, possa trionfare grazie alla tenacia e al progresso scientifico.
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