DI CECILIA ALFIER
Titolo sconosciuto, ve lo dico dopo.

Serie tv, ancora in corso, rilasciata in pandemia. La prova definitiva che non siamo usciti migliori dal Covid, ma sicuramente con meno connessioni neurali. Dopo la visione della prima stagione, posso dirvi che – se l’avessi vista in lockdown – avrei preferito passare il tempo con dieci ore di tutorial di Barbara D’Urso su come lavarsi le mani. Sarebbe stato più utile. D’altra parte, non vedo l’ora di finire le stagioni che mi mancano e sono in hype per l’ultima.
Warning: è probabile che alla fine di questo racconto vi verrà voglia di vederla ’sta serie. Nel caso, me ne lavo le mani col cuore, come mi ha insegnato Barbara.

Una donna (che chiameremo Protagonista, per non rovinare tutto) dell’età contemporanea deve trasferirsi per un lavoro improbabile in una città favolistica dove tutti si comportano da maniaci sessuali, e la cosa è ufficialmente accettata. Tutti quanti ci provano con lei in maniera molesta, ma lei è felicissima, poiché il suo QI è al di sotto della media, ma nessuno gliel’ha detto. La nostra Protagonista è odiata al lavoro, in quanto dice cose strane, tipo: “Basta disegnare cazzi sulla mia scrivania”.
Protagonista vive anche in un palazzo del 1400, che potrebbe essere abitato dai fantasmi e dove non si riesce neanche ad attaccare il microonde, l’asse da stiro e il vibratore contemporaneamente, senza che salti la corrente di tutto il quartiere. Ovviamente non può neanche salutare il vicino (che non è un fantasma, anzi fa sangue), che subito scatta questa attrazione fatale animalesca.
Non è una serie propriamente horror (i colori pastello e i selfie presenti possono ingannare), ma la considero tale, data la quantità di pervertiti che si attaccano alla protagonista e sono giustificati, in quanto abitanti della città incantata, dove evidentemente non esiste alcuna legislazione contro le molestie sul luogo di lavoro. Fossi nella Protagonista, oltre a cercare di vestirmi un po’ meglio, vivrei in un perenne stato d’ansia. Ci sono due villain principali: il vicino di casa e un cliente della Protagonista viscido (secondo i canoni di una persona normale), i quali alla fine della prima stagione stringono un’improbabile alleanza, probabilmente ai danni della Protagonista. Povera, sarà pure stupida, ma non si merita tutto ciò.
D’altra parte non si comincia a lavorare prima delle 11 e si trovano amiche random, a cui basta chiedere che ore sono per stringere legami indissolubili per sempre. Va bene che poi le suddette amiche giustificano gli stalker della Protagonista, ma dettagli. L’importante è che loro sappiano come muoversi nella città incantata fuori dalle regole.



Ecco, questo è tutto quello che dovete sapere su Emily in Paris, stagione uno.
Qualche social media manager esperto mi dovrebbe gentilmente spiegare come ha fatto Emily a passare da 48 follower a migliaia e migliaia in dieci giorni, solo postando storie a caso della città incantata senza Miyazaki. Poi mi dovete spiegare perché Emily va a occuparsi di social, partendo solo da 48 follower, che sono quelli di mia nonna ultranovantenne. Inoltre, una delle prime storie condivise da Emily mi ha fatto pensare all’horror, in quanto rappresenta due bambini sconosciuti, che la tipa posta senza il consenso dei genitori.
Dimenticavo che Parigi è un po’ il far west.

Con amore, la vostra,
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