DI CHRISTIAN PAROLIN
Due vicini in questa storia
se non m’inganna la memoria.
Birichini e senza gloria
una guerra avviarono aviatoria.
Partiamo dunque dal principio
ed entriamo in un qualunque panificio.
Fricco e Fracco i loro nomi,
ricchi entrambi e senza timori.
«Una forma di tartaruga» chiese Fricco.
«Una forma di tartaruga» prese Fracco.
Quella di Fracco risultò più grande
e la bocca di Fricco tacere non fu capace.
«Cos’è ’sta storia?» si lamentò.
«Voglio accertarmi del peso mo’».
Rise Fracco tanto tanto
che gli si sbottonò il soprabito bianco.
Un bottone schizzò sul banco
e rimbalzando colpì Fricco su un fianco.
Finto dolore gli si dipinse in volto,
convinto acclamatore di ciò divenne Fracco.
«Tanto potere un bottoncino non può avere, Fricco.
Perché inventare un male fittizio
per ottenere su di sé comizio?».
Il panettiere occhio deve avere
e di evitare lo scoppio di umori si deve premurare.
«Fuori di qui se dovete litigare».
si tagliò un cetriolo
e si rimproverò: “Mai più farò il bombarolo
in questioni che non m’han manco toccato».
Fricco e Fracco ora vediamo,
a casa con loro andiamo.
Cos’hanno fatto nel tragitto
perché si arrivasse a questo punto?
A dare spiegazioni è la signora Papazzoni.
Ci dice: «Li ho sentiti prendersi a ceffoni».
Allibiti i miei orecchi ascoltarono sornioni.
Della vecchietta possiamo fidarci
perché lei a rilassarsi neanche a provarci;
è cieca dalla nascita, perciò di meglio
non potevamo procurarci.
Niente mogli e niente figli
per Fricco e Fracco, e ciò non meravigli.
Un grande giardino avevano entrambi
e con sguardo canino di minacce v’erano scambi.
Fricco disse: «Ti sei messo contro il vicino sbagliato,
adesso non sconto neppure un capolino abbozzato.
E se sulla mia strada ancora ti trovo,
nulla potrai perché accada qualora qualcosa di buono».
«Chiudi un po’ quella boccaccia» fu la risposta.
«Preludi vittoria sporca di vanagloria.
La tua scenata è vomitatoria.
Non un capello ti torco
perché di toccarti mi manca il budello».
“Senti senti quanto parla,
pone accenti fuori dalla faccenda.
Hai forse paura di batterti?
O sono le risorse che per l’avventura
sembrano non esserci?».
«La fai sempre fuori dal vaso, piccolo Fricco,
secche le tue ostentazioni di ficcare il naso, bello chicco.
Io possiedo mezzi che tu non t’immagini.
Ti chiedo: vuoi che mi sieda e accarezzi amabili
sogni mentre rido dei tuoi sforzi impavidi?».
«Ogni tuo mezzo me lo mangio per colazione,
e con questo non aggiungo nessun’altra affermazione.
Solo una cosa: cambia alimentazione,
ché presto volerai via come un pallone».
Un solo tasto con Fracco va evitato,
ed è proprio quello che,
di proposito,
Fricco ha toccato.
«Prepara la tua bara» sentenziò Fracco,
«e spera che la Sua punizione non sia troppo severa».
E lasciò Fricco alquanto di stucco.
Settimane e settimane passarono da allora
e di Fricco e Fracco fuori dalle loro case
nessuna traccia ancora.
Era un martedì mattina molto piovoso
quando al buondì della cittadina seguì un rumore minaccioso.
Uscirono tutti a controllare
e a cadere meno furono
di coloro che perirono.
Dell’episodio siamo all’oscuro,
non rimane cittadino a dirci qualcosa di sicuro.
Sappiamo solo che Fricco e Fracco non morirono,
poiché dal loro bunker sotterraneo salirono.
«Soddisfatto di ciò che hai fatto?» chiese Fracco.
«Hai ammazzato mezzo mondo e l’altro mezzo l’hai annebbiato».
«Ma che dici, io son stato?
Di chi era quella mongolfiera,
razza di disgraziato?».
«Ormai non conta più, stupido di un Fricco.
Mi aiuterai a cancellar l’onta;
un brivido, senza trucco».
«Basta giocare, dobbiamo rimediare.
Dalla stoltezza ci siamo fatti accecare.
Reitia ci ordinerà di sloggiare e
un nuovo pianeta dovremmo abitare».
«Poco male, per quel che mi pare.
Di fingere già mi ero stufato.
Ad armi pari ti avrei affrontato,
e ti avrei calpestato e infine cancellato
dall’intero creato».
«Tutto per una tartaruga»
rise Fracco.
«Alla loro carne preferisco un’acciuga
e mezzo frutto».


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