DI EDOARDO VALENTE
“Poiché non sono scrittore, ho il privilegio insondabile di scrivere dall’interno del mio manoscritto, circondato da ogni parte da lui, sordo e cieco da qualsiasi cosa che potrebbe distrarmi dal mio lavoro forzato. Non ho lettori, non ho bisogno di apporre la mia firma su un libro. Qui, nel ventre del manoscritto, vagando tra i suoi intestini tortuosi, ascoltando i suoi strani borborigmi, sento la mia libertà, sento in me anche la sua compagna obbligata: la follia”.
Memorizziamo bene le prime parole: “Poiché non sono scrittore, ho il privilegio insondabile di…”.
A scrivere queste parole è uno scrittore, però. Uno dei più grandi viventi (si possono fare classifiche?). Uno dei più apprezzati, forse si può dire così, tanto da essere avvicinato alla possibilità di vincere un premio Nobel per la letteratura (ammesso che abbia un qualche valore).
Sto parlando di Mircea Cărtărescu. Considerato attualmente il più grande scrittore in lingua romena. Il quale, scrittore, scrive nel suo romanzo Solenoide che “non sono scrittore”.

Ma è un romanzo, dirà qualcuno, quindi è ovvio che non è lui a parlare direttamente, ma qualcun altro.
Dire “qualcun altro”, in questo caso, è sia giusto che sbagliato. Perché il narratore, in Solenoide, è proprio Cărtărescu. Ma una versione leggermente diversa: il suo alter ego che non è diventato scrittore.
Lo snodo della sua vita è questo: una sera si ritrova in un cenacolo letterario, e il poema che Cărtărescu ha scritto viene giudicato. Nella realtà è stato giudicato positivamente, e Cărtărescu è diventato… beh, Cărtărescu. Nella finzione (che non è altro che la versione speculare della realtà, non meno vera di questa, solo ribaltata) il poema viene giudicato negativamente. E così nasce il non-scrittore. Quello che può permettersi di “scrivere dall’interno” il suo manoscritto.
“Sono diventato, dolorosamente, conscio di tutto ciò, un fallito, uno dei tantissimi, un umile, anonimo, intercambiabile professore di romeno in un mondo di cenere. Ma nello stesso decisivo istante è apparso anche l’altro, lo scrittore, l’uomo di successo, quello che per decenni avrebbe scritto poesie e romanzi a partire dalla nostra comune materia, il tronco dei ventidue anni durante i quali siamo stati una cosa sola”.
Cărtărescu vede la sua stessa vita da un punto vertiginoso, attraversando uno specchio, facendo diventare sé stesso “l’altro, lo scrittore”, e incarnando ciò che è, in realtà, altro da sé, “un umile, anonimo, intercambiabile professore di romeno”.
Ed è per questo che Cărtărescu è uno degli scrittori più immensi che ci siano. Perché riesce a spogliarsi di questa etichetta, o essenza profonda. Pur continuando a incarnarla. Qui vive il paradosso: scrive come se non fosse scrittore. Ma lo scrive.
È un grande scrittore perché è intriso di letteratura, e la ama al punto da rifiutarla. Da rifiutare la letteratura perché appartiene agli scrittori, che riesce a distanziare da sé.
Il Cărtărescu che non è diventato scrittore scrive lo stesso, perché le diramazioni della sua vita hanno la stessa essenza, sono lo stesso percorso che punta a direzioni differenti. La scrittura non è solo inevitabile in questo percorso, ma è il percorso stesso.

Diventa difficile capire, però, chi è scrittore e chi non lo è.
Oggi la possibilità di scrivere, e pubblicare, è data a quasi chiunque desideri farlo. E so ho scritto un libro, allora sono scrittore? E se l’ho pubblicato, allora sono scrittore?
Tento di dare una definizione di scrittore (ogni volta che scrivo “scrittore” considerate anche “scrittrice”).
Lo scrittore è colui che incarna la letteratura, colui nel quale la letteratura si incarna.
E questa “letteratura” cos’è?, dove sta?, come si raggiunge?
Difficile dire anche questo. È un po’ come il discorso in merito all’arte contemporanea. Molti si chiedono: è davvero arte?
E chi lo sa?
Lo decideranno, forse, un giorno, in un futuro non troppo lontano. Sulla base di criteri che oggi ignoriamo.
Questo mi pare l’unico modo per avere distinzioni. C’è chi appartiene alla letteratura (come se ne fosse posseduto – in tutti i sensi) e c’è chi non vi appartiene.
L’idea astratta di letteratura, naturalmente, si basa su mezzi effimeri, come i documenti che vengono prodotti. Una volta erano manoscritti, ora sono file digitali, in ogni caso sono cose che esistono nella loro concretezza, e che poi in qualche modo assumono un’aura di ulteriorità.
Che poi quello che comunemente viene considerato “letteratura” possa non piacerci, e preferiamo il manoscritto di una persona che abbiamo conosciuto, questo è un altro discorso, che esula da questa definizione.
Ciascuno di noi, se lo vuole, può dire a sé stesso (e se ne ha l’avventatezza, anche agli altri) che è scrittore. Per carità, nessuno lo vieta a nessuno. Però saranno altri i processi critici, storici, culturali, estetici, etici, ecc., che definiranno questa cosa.
E la critica sa anche essere ingiusta, nessuno lo nega. Ma quel che vince è la sensibilità umana. Se si è scritto qualcosa che raggiunge questa sensibilità, la stimola e la arricchisce – nel bene e nel male – allora quello è il giudizio più puro che esiste.
E io ammiro la capacità di uno scrittore come Mircea Cărtărescu che non solo scrive un libro dal punto di vista di un “sé stesso” che non è diventato scrittore, ma ha anche il coraggio di ammettere: io non voglio essere scrittore, semplicemente lo sono diventato.
Certe cose sono così, e basta.
Cărtărescu è riuscito a nutrirsi a tal punto di letteratura da riuscire a incarnarla.
Come lui un altro essere umano ci è riuscito, uno fra tanti, che cito per la vicinanza che proprio Cărtărescu sente nei suoi confronti.
“La mia vita consiste ed è consistita, in fondo, da sempre, in tentativi di scrivere…”.
Questo scrive Franz Kafka in una lettera a Felice Bauer.
E aggiunge:
“Tu non hai capito abbastanza, credo, che lo scrivere è la mia unica possibilità di vivere…”.
“Solo scrivendo riesco a vivere…”.
“Io non ho un interesse letterario, ma sono fatto di letteratura, non sono e non posso essere altro”.
Di fronte a affermazioni del genere non possiamo che rimanere disarmati.


E ora, per tentare di avvicinarci un po’ a quale può essere il senso della letteratura, e dell’essere scrittori, mi accingo a citare ancora una volta Cărtărescu, che a sua volta cita Kafka.
Assaporiamo queste parole:
“Il signore dei sogni, il grande Isachar, sedeva davanti allo specchio, la schiena aderente alla sua superficie, con la testa tutta reclinata all’indietro e profondamente immersa nello specchio. Allora apparve Hermana, la signora del crepuscolo, e si dissolse nel petto di Isachar, finché non vi svanì del tutto”.
In merito a ciò, Cărtărescu ci dice:
“In questo frammento di Kafka c’è la risposta compiuta. Perché non trovi in nessun romanzo frasi come questa, perché nemmeno Kafka ha osato trasformarle negli ossicini dell’orecchio interno di una qualche narrazione… Sono rimaste incrostate in oscure pagine di diario destinate al fuoco, pagine che non divertono e non istruiscono, pagine che non esistono”.
E poi, ancora, ci mostra l’essenza della letteratura:
“Nessun romanzo ha mai mostrato una strada da seguire, ma assolutamente tutto viene riassorbito nell’inutile nulla della letteratura. Il mondo si è riempito di milioni di romanzi che eludono l’unica ragione di essere che la scrittura ha mai avuto: quella di comprendere te stesso fino in fondo, fin nell’unica stanza del labirinto della mente in cui non hai diritto di penetrare”.
Non ho altro da aggiungere.


Desideri leggere altri articoli di natura letteraria? Allora clicca qua sopra!!!
Vuoi leggere un altro articolo che parla di Cultura? Pigia qua!!!
Desideri leggere un articolo di qualcuno che ha rovinato la cultura? Allora clicca qui!!!