DI CHRISTIAN PAROLIN

Un Ciarli è un uomo speciale,

baciargli le mani non è teatrale.

Figlio di Filomena o fratello del fabbro,

muffole col freddo d’inverno

e pantofole se fuori è l’inferno.

«Ci penso io» ti dice fiero,

che sia il frigo, il forno o il ferro da stiro;

tutto tiene nel suo marsupio tenuto bene,

solo un poco di mercurio nella cinghia di velluto.

«Il termometro è scoppiato» dice abbacchiato.

«Li fanno in vetro, ovvio che bestemmio anche San Pietro».

Ora è agitato,

il sorriso è sparito.

Per farlo tornare,

un piano preciso bisogna escogitare.

«Siedi, ti offro una birra» gli dici.

«Sì, basta parlare. Ti cuocio una pasta?».

«Pesto e peperoncino». 

Ora ride che pare un bambino.

«Aggiungi della panna» aggiunge. «Funge da congiunto».

Ti suona strano ma lo fai,

una burla sospetti che sia; 

però la cappa è rotta da giorni

e la pappa cotta un gran fumo produce a fiotti.

Lo guardi che mangia, beve e se la gode.

Non parli, hai la maglia calda dalla rabbia.

«Sarò breve» dice Ciarli, «il troppo uso corrode.

Se usassi la piastra per le bruschette

e poi aprissi la finestra,

invece che l’apocalisse avresti violette».

«Ma di che diavolo parli?» chiedi tu.

«Ho sporcato il tavolo» dice Ciarli. «Ho Gesù».

«Sistemami la cappa» ordini.

«Ho un eczema sugli indici e sono senza crema».

Ciarli si soffia sulle dita,

la sua voglia è sgonfia e

la partita è agguerrita.

«Torno un altro giorno» decide Ciarli,

«verso mezzogiorno. Frattanto usa il forno».

Tu resti di stucco, ti senti un mammalucco.

Sei stanco per fermarlo e

manco ti va di nuovo di ascoltarlo.

Ciarli ricompare in una settimana.

«Avevo da svuotare la cantina di un’anziana».

«Mi serve la cappa» quasi urli.

«Le carte dei muri si sfaldano sugli orli e

I fumi salgono sugli allarmi».

«Ci penso io» ti rassicura Ciarli.

«Mi dice il buonsenso che del forno fai un uso intenso.

Forse è saltata un’accordatura oppure

è un problema dell’interruttore».

«Come faccio a saperlo io?» dici a Ciarli.

«Devo infilare il braccio là dentro?» domanda Ciarli.

Tu perdi la pazienza.

«Aggiustami la cappa» esclami.

«Se mi chiami mi parli con accondiscendenza».

Ciarli è offeso,

il suo compito si rifiuta di assolvere.

Tu fai buon viso 

e con una battuta il malumore gli fai dissolvere.

Armeggia con i fili.

«Vuoi che spenga l’interruttore?».

«Non ti fidi? Piuttosto indietreggia».

Tu te ne vai in un’altra stanza

per poi sentirlo urlare con arroganza

e senza troppa creanza.

«La corrente è posseduta! Mi sono bruciato le dita!».

Se le mette in bocca tutte;

dalla tua trabocca l’istinto di prenderlo a botte.

«Prendi la tua fottuta roba e vattene finché sei ancora in tempo».

«Ritengo sia il motorino» dichiara Ciarli giorni dopo.

«Ma lo spengo di continuo! Mi hai preso per un cretino?».

«Ne prendo uno nuovo» si offre Ciarli. «A mie spese».

Tu, sorridendo, dici: «Mi commuovo, 

ma le tue tasche sapranno mantenere certe attese?».

«Mi offendo. Non trovo giusto far pagare 

al cliente ciò che io solamente devo impiegare».

Ciarli viene con un motorino nuovo.

«Tutto è bene quel che finisce bene».

Tu ti rassereni, è finito l’andirivieni.

Del caffè gli dai da bere ma,

ahimè,

Ciarli è intollerante all’acidità.

Gli provochi quattro notti in ospedale,

ti prodighi per portargli biscotti ed essere cordiale.

Ciarli è buono e ti perdona,

al tuo problema non ti abbandona.

«Sono stufo di lavorare» proclama.

«Mi scuso molto per la grana».

«Mi hai aiutato molto» lo rimbecchi.

«Non hai sbagliato con il motorino. Te ne intendi di apparecchi».

«Oh, sarà».

Ciarli non è più in sé.

«Stasera sarò solo a casa,

non ho un figliolo né sono donnaiolo.

Farò un solitario e avrò sonno ben oltre il mio orario».

Esci da lì che sei triste.

Non scorgi le cicliste

e ti rovesci sulle strisce.

«È la maledizione di Ciarli» pensi,

«e se non faccio colazione perderò i sensi».

Due giorni dopo scoppia il motorino nuovo.

La beffa è doppia perché ti si scaglia al suolo

ed esplode.

Schegge ovunque, fumo in tutto l’appartamento.

Nulla più sorregge la cappa,

vien giù tutto e dai vicini un gran lamento.

Poi ti avvicini, piano piano.

Per terra è pieno di viti,

una sbarra e dei contatti abbrustoliti.

La magagna ti fa uscire dai gangheri,

chiami Ciarli e da te lo convochi.

«Non aspettarmi, vai da chi 

di elettronica se ne intende.

Ora io devo vendere

farmaci di neurotonica».

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