DI SARA MORENA
Buon pomeriggio a tutti, e benvenuti a questo nuovo appuntamento con Outside. Oggi vi presentiamo uno dei titoli più dimenticati di Don Bluth, un film del 1994, Le Avventure di Stanley. Come sempre, i film di Bluth escono in contemporanea a un nuovo Classico Disney, che in questo caso fu il grande successo del Rinascimento e di tutta la storia della Casa del Topo, ovvero Il Re Leone.

Il protagonista è un troll di nome Stanley, di animo buono e generoso, che ama le piante e possiede letteralmente un pollice verde in grado di far crescere per magia dei fiori. Per questo motivo Druda, la perfida regina dei troll, lo tiene prigioniero e isolato. Ma nel momento in cui lei scopre che Stanley ha un giardino segreto, lo bandisce dal regno, a New York City. Qui Stanley incontra due bambini, un fratellino e una sorellina, Gus e Rosie, con i quali vive delle avventure favolose.

La realizzazione di questo lungometraggio fu frettolosa e contemporanea all’ideazione dei successivi progetti di Don Bluth. Per questo e per altri motivi, la produzione di Stanley ebbe non pochi alti e bassi. Ci furono molti disaccordi fra Don, gli animatori e altri membri della direzione, che fecero sfociare il film in un completo flop al botteghino, contro la maestosità del successo di Il Re Leone, che di certo surclassò pesantemente il film con cui rivaleggiò. Stanley ricevette una bassissima accoglienza, e ottenne il primato di più grande insuccesso. Gli furono attribuite soltanto due stelle come recensione.
Malgrado tutto, negli anni recenti sembra che il film sia stato riscoperto come uno dei flop che meritano di essere rivalutati. Anche questa volta, fra i personaggi principali, abbiamo dei bambini, tramite i quali Don Bluth ci fa riscoprire l’ardore e la voglia di inseguire i propri sogni che molte volte solo i bambini posseggono, contro la rassegnazione e la paura di cui invece sono spesso pervasi i grandi, ormai disillusi e consapevoli di quanto il mondo sia pieno di pericoli e ostacoli che possono essere insormontabili. Ma è davvero così? O dipende da come scegliamo di affrontare le cose?

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