Il bacio più violento della storia

DI EDOARDO VALENTE

Questa foto ritrae uno dei baci più famosi della storia: un marinaio e un’infermiera, a Times Square, in un’atmosfera di festa per la fine della guerra, si baciano e vengono immortalati in un’immagine che dovrebbe farci pensare all’amore.

La storia che nasconde, invece, è molto diversa.

Ho avuto la possibilità di vedere questa foto dal vivo, alla mostra dedicata al fotografo Alfred Eisenstead.

Così come mi era capitato per la mostra dedicata all’altro grande fotografo, Henry Cartier-Bresson, anche questa volta mi trovavo alla mostra con mio papà, appassionato di fotografia. E anche questa volta mi ha detto: “Potresti scrivere un articolo sulla mostra”.

All’inizio ero titubante, ma a un certo punto ho capito quale storia poteva emergere da alcune di queste fotografie. E tutto parte dal famoso bacio.

Iniziamo dal contesto di questa fotografia.

Il 14 agosto 1945, con la resa del Giappone, viene annunciata la fine della Seconda Guerra Mondiale, e questo giorno in alcuni Paesi, come gli Stati Uniti, diventa noto come il V-J Day, ovvero Victory over Japan Day.

A New York migliaia di persone si riversano per le strade a festeggiare, e Eisenstead si trova tra loro, armato di macchina fotografica, in cerca del giusto scatto. 

Pare avesse già notato un marinaio che si muoveva tra la folla di corsa, avvicinandosi a ogni donna che incontrava, finché non ha trovato lei. Eisenstead vede con la coda dell’occhio una figura bianca che si muove alle sue spalle: si gira e scatta a ripetizione.

Tra le foto che è riuscito a fare, l’unica che gli sembra venuta bene è proprio quella che oggi noi tutti abbiamo visto probabilmente almeno una volta.

La foto viene inviata alla rivista Life, per la quale il fotografo lavorava, e dei due giovani si perdono le tracce.

Molte coppie si presentano alla redazione della rivista, per rivendicare di essere i protagonisti della foto, ma solo dopo anni si scopre chi erano veramente.

Non solo: si scopre anche che quel bacio non era consensuale.

George Mendonsa, marinaio, stava guardando un film con la fidanzata – e futura moglie – quando le porte del teatro vengono spalancate, ed è annunciata la fine della guerra. A quel punto anche loro scendono in strada e si uniscono alla folla festante. A quanto pare George, oltre a essere sovreccitato per la notizia, aveva anche bevuto un po’. E, aggirandosi tra le persone, ha deciso di afferrare una ragazza vestita da infermiera e baciarla.

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Il momento viene immortalato. La futura moglie si intravede tra le persone sullo sfondo, e George tiene tra le braccia e bacia una sconosciuta: Greta Friedman

Greta Friedman, che non era un’infermiera ma un’igienista dentale, non era neanche favorevole al bacio che quello sconosciuto le stava dando; lo dichiara in un’intervista del 2005, sessant’anni dopo, quando l’idea di cosa sia il “consenso” e di cosa significhi negarlo iniziava a essere diffusa, compresa e accettata.

(Oggi, a ulteriori vent’anni di distanza da quell’intervista, ci chiediamo ancora quanto il concetto di “consenso” e di “non consenziente” siano davvero diffusi, compresi e accettati).

La storia di quel bacio, che di conseguenza non incarna romanticismo ma violenza, potrebbe finire qui.

Ma facciamo un passo indietro, spostando lo sguardo dai protagonisti involontari della fotografia, e ricordiamoci il contesto.

V-J Day, la celebrazione per la vittoria sul Giappone. Ma perché il Giappone si è arreso? Perché pochi giorni prima due testate nucleari sono state sganciate per volere del presidente Truman sulle città di Hiroshima e Nagasaki.

Questa è un’altra foto scattata da Eisenstead, in Giappone, quattro mesi dopo lo sgancio della bomba atomica.

E quando l’ho vista, ho pensato: è il contraltare perfetto alla foto del bacio. Da un lato del mondo si festeggia la fine della guerra, dall’altro lato, mesi dopo, se ne patiscono ancora i segni indelebili.

Al fondo della mostra, in un angolo dedicato ai ritratti di persone illustri, vediamo anche due primi piani di J. Robert Oppenheimer, l’uomo passato alla storia per essere il “padre” della bomba atomica.

Altre due foto, altre due facce della stessa medaglia. 

La prima foto, famosa, lo ritrae nel 1947 con sguardo sicuro, penetrante. (Un’inquadratura del film di Nolan dedicato a Oppenheimer lo ritrae in questa stessa posa).

E poi un secondo ritratto, nel 1963, il viso smunto, lo sguardo sembra impaurito. 

Abbiamo da un lato uno degli uomini responsabili di uno dei più grandi progetti scientifici della storia; dall’altro, uno dei responsabili della creazione dell’arma di distruzione di massa più terribile della storia.

In due soli giorni, il 6 e il 9 agosto, gli Stati Uniti hanno provocato un numero di vittime dirette stimato tra le 150 e le 220 mila. Era stato compiuto un passo nell’abisso della storia dal quale non si è più potuti tornare indietro.

Cinque giorni dopo, il 14 agosto, per le strade di New York, i civili scendono in strada e festeggiano, indirettamente, la morte dei civili giapponesi.

In questo contesto viene scattata la foto del bacio, non il più romantico, ma il più violento della storia.

Penso che questo racconto parli da sé, non serve fare della morale, perché i moralisti non vengono ascoltati da nessuno: chi è d’accordo con loro non ne ha bisogno, chi non è d’accordo non lo sarà in ogni caso.

I temi fondamentali sono due, oggi costantemente al centro dell’attenzione mediatica, e di cui non si può smettere di parlare, perché non si può accettare che ciò che viene commesso venga commesso: l’orrore della guerra e la violenza di genere.

Una foto di ottant’anni fa ci dimostra quanto siamo in grado di farci colpire dall’apparenza, ma sotto la superficie vive sempre la complessità delle cose, che spesso non è ciò che vorremmo vedere, ma non è neanche qualcosa che possiamo evitare. E questa foto racconta due storie, e tutto quel che c’è da sapere, la “morale” è già contenuta al loro interno.

Era sufficiente affinare lo sguardo.

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