Rino Gaetano: genio censurato

DI ORIANA FERRAGINA

Si sa, la fortuna è cieca e la sfiga ci vede benissimo, ma alcune volte la sfiga sfocia in un umorismo tanto nero che persino io, che ci sguazzo ogni giorno in questo tipo di umorismo, molto spesso a mie stesse spese, lo trovo ridicolo.

Iniziando con la mia citazione preferita di Roberto “Freak” Antoni, compianto cantante del gruppo Skiantos (di cui parlerò di sicuro in un altro articolo), vorrei parlarvi di uno dei più grandi cantautori della musica italiana dell’altro secolo: Rino Gaetano.

Nato a Crotone il 29 ottobre 1950, Salvatore Antonio Gaetano, detto Rino dalla sorella maggiore (nomignolo derivato da Salvatorino, come lo chiamavano i genitori), non rimase molto sul suolo calabrese, trasferendosi con la famiglia a Roma all’età di dieci anni. Dopo aver ricevuto un’istruzione presso il seminario della Piccola Opera del Sacro Cuore di Narni, in provincia di Terni, Gaetano ritorna a Roma nel 1967, dove si stabilisce in pianta stabile e ove vi rimarrà fino alla di lui morte.

Nel 1969, Rino iniziò a frequentare il Folkstudio, un famoso locale romano dove i giovani artisti dell’epoca si esibivano e iniziavano a muovere i primi passi nel mondo artistico. Lì, oltre a conoscere alcuni cantanti come Antonello Venditti, Ernesto Bassignano e Francesco De Gregori, cominciò a delinearsi il suo particolare stile artistico, differente dagli altri cantanti del locale: la forte ironia, il tono canzonatorio, la tonalità sporca e rauca della sua voce e il suo modo di criticare ciò che vedeva venivano mal sopportati dagli avventori del locale, rendendola persona non molto gradita tra le mura del Folkstudio.

Negli stessi anni Rino si diplomò in ragioneria per volere del padre, che, visti i problemi economici della famiglia, gli trovò anche un posto in banca, cercando più volte di indirizzare il figlio a carriere che gli avrebbero assicurato una buona stabilità economica.

Gaetano, tuttavia, aveva altri progetti e riuscì a strappare al padre un altro anno, per cercare di sfondare nel campo della musica. I risultati iniziali furono scarsi: dopo essersi iscritto alla SIAE, cercò di incidere un disco con l’etichetta discografica Produttori Associati di Milano, contenente i brani Jacqueline e la famosa La ballata di Renzo (che riprenderò più tardi), che però non venne mai prodotto. Era il 1972.

Neanche il secondo disco, questa volta inciso con la Hit di Vincenzo Micocci, che aveva conosciuto alla SIAE, ebbe molto successo: I Love You Maryanna, che Rino incise sotto lo pseudonimo di Kammamuri’s, in omaggio ad un personaggio del libro di Emilio Salgari “I Pirati della Malesia”; questo per timidezza e insicurezza verso le proprie doti canore (visto che, in seminario, era stato sbattuto fuori dal coro perché era stonato).

Le tematiche del disco, però, vanno menzionate, perché ritorneranno nei successivi lavori del cantante: aveva testi comici e di tipo goliardico, demenziali e nonsense.

I primi successi del cantante calabrese arrivarono nel 1974, con l’incisione del suo primo album, ovvero Ingresso Libero: è da questo che Rino Gaetano iniziò la sua vera carriera da cantante, confermando il suo stile e iniziando a raccogliere un discreto seguito di fan.

Fan che storsero il naso quando, nel 1978, Gaetano partecipò a Sanremo con Gianna: all’epoca, infatti, era visto come un tradimento per i cantautori andare al Festival che aveva portato al suicidio Luigi Tenco il 27 gennaio 1967. Ma, sotto le spinte dell’RCA e l’idea che fosse un’occasione unica, Rino accettò di presenziare a Sanremo.

La prima canzone proposta da Rino non fu quella che venne alla fine portata, ma bensì Nuntereggae più, dall’omonimo album, che, però, venne scartata dall’RCA, che credeva che la canzone non sarebbe stata vista di buon occhio al Festival, vista la lunga lista di nomi di uomini importanti dell’epoca, tra politici e personalità influenti, che comparivano nel testo e propose, quindi, la più sicura Gianna; che però non convinceva Rino che pensava fosse troppo commerciale e assomigliasse, come sonorità, ad una sua vecchia canzone, Berta Filava.

Ma, alla fine, la spuntò la casa discografica del cantautore e Rino si presentò il 26 gennaio del 1978 sul palco di Sanremo in tuba nera (regalo di Renato Zero che risaliva a pochi giorni prima), frac attillato, papillon bianco e scarpe da ginnastica, con una miriade di medaglie sul bavero del vestito, che, durante l’esibizione, distribuì tra l’orchestra e il pubblico. La sua performance si caratterizzò, inoltre, per il fatto che Rino suonava un ukulele e che, verso la fine della canzone, i Pandemonium salirono sul palco per cantare il coro finale di Gianna, come piccola scenetta umoristica; insomma, una vera apoteosi del paradosso alla Carmelo Bene, per cui Gaetano aveva recitato nel suo Pinocchio come Volpe nel suo periodo teatrale (1970-1971).

Dopo il successo di Gianna al Festival, che Rino non si aspettava minimamente, la sua carriera fece un balzo che spiazzò lo stesso cantante, che si vide costretto a prendersi una pausa sull’isola di Stromboli per cercare ispirazione per il suo nuovo album (anche sotto le pressioni della sua casa discografica), volando poi in Messico per inciderlo: Resta vile maschio, dove vai? (1979, RCA).

Dopo quest’album Rino ne incise solo un altro, nel 1980, ovvero Io ci sto; il suo sesto e ultimo: Rino Gaetano morì a causa di un incidente d’auto il 2 giugno 1981, dopo che, arrivato all’ospedale Umberto I, che non disponeva delle attrezzature per intervenire sulla ferita riportata dal cantante (un trauma cranico), il personale dell’ospedale non riuscì a trovare in tempo una struttura idonea; infatti il ricovero del cantante al Gemelli fu tardivo.

E, come nel caso di Bruce Lee, iniziarono a girare delle voci anche sulla dipartita del cantante calabrese; voci che affermavano che lo stesso Rino avesse predetto la sua morte in una sua canzone di anni prima. Infatti, nella canzone che ho già citato, ovvero La Ballata di Renzo, il protagonista del brano ha un destino molto simile a quello del suo creatore: dopo un incidente stradale nel quale è stato investito da una macchina nel mentre che attraversava la strada, il povero Renzo inizia la sua corsa per ospedali, dove puntualmente viene rifiutato per qualche motivo, o per mancanza di posti, o a causa di uno sciopero, e così via. In molti credono a questa teoria, ma di fatto le dinamiche dell’incidente tra il fittizio Renzo e Gaetano sono alquanto diverse: uno è stato investito da un’auto, l’altro era al volante della sua e, invasa la corsia opposta, si scontrò contro un camion.

Comunque, un certo alone di mistero aleggia sulla morte del cantante, visto che, negli anni precedenti, aveva affermato pubblicamente che, per colpa delle sue canzoni provocatorie e schiette, c’era qualcuno che voleva tappargli la bocca, ma lui non avrebbe permesso che ciò succedesse. Inoltre, l’8 gennaio del 1981 Gaetano era stato già coinvolto in un incidente stradale con la sua macchina rimanendone illeso.

Comunque, nonostante le teorie del complotto e quant’altro, non si può negare che Gaetano nelle sue canzoni abbia sempre trattato temi forti e molto spesso controversi in modo schietto e al contempo in stile nonsense: al centro delle sue canzoni ci fu la politica, senza schierarsi per alcun partito ma per denunciarne la corruzione, tanto che più volte i suoi brani vennero censurati, anche quelli in cui trattava temi leggeri, come in Sfiorivano le viole, dove una strofa in cui accennava alla guerra nel Vietnam venne completamente eliminata; oppure l’emarginazione, molto trattata dal cantante, specialmente nel suo album Mio fratello è figlio unico, ma non intesa come emarginazione sociale, per problemi di abusi di sostanze o quant’altro, bensì l’emarginazione dell’uomo comune che, nonostante i legami affettivi e familiari (il famoso fratello che è anche figlio unico), è solo, è emarginato. Il cantante affermava che, in fondo, siamo tutti emarginati e figli unici; e riesco a capire molto bene questo punto, perché molte volte mi sono sentita emarginata nonostante fossi in mezzo a tante persone ed amici.

Un altro tema molto importante per Gaetano era quello dell’emigrazione e del Meridione: nonostante, infatti, fosse emigrato con i genitori quando era molto giovane, Rino si sentiva molto legato alla sua terra d’origine e al Sud, inserendo questa tematica nella più grande che ho appena accennato, ovvero quella dell’emarginazione, cercando di inserire “questa piaga nel più vasto e alienante concetto dell’emarginazione” (come affermava lui stesso in alcune sue interviste).

Emblema di questo suo sentimento è la canzone Agapito Malteni il ferroviere, che vi invito calorosamente ad andare ad ascoltare.

Ultimo tema che vorrei trattare è quello dell’amore, che anche Gaetano ha utilizzato per alcune delle sue canzoni, ma con una particolarità: non scriveva mai canzoni d’amore basate sulle sue esperienze personali; inoltre, cercava di non cadere nei cliché, non trattando l’amore con le solite frasi lacrimevoli (e abbastanza inutili, per stessa affermazione del cantautore).

Rino paragonava l’amore all’oppio: come per l’assunzione della droga, quando sei innamorato sei, all’inizio, euforico, eccitato per questa cosa nuova, per poi, con il passare del tempo, raggiungere uno stato serafico, sereno ma nel quale non riesci a distinguere la realtà dall’immaginazione personale che ti sei fatta del tuo partner.

Finendo con questa nota dolce-amara, concludo qui il mio articolo, invitando tutti voi ad andare ad ascoltare le canzoni di Rino Gaetano: perché potrei dirvi quali siano le mie canzoni preferite dell’autore, ma sarebbe poco utile, visto che ognuno di noi ha gusti differenti su tematiche, suoni e ritmi; e perché, di solito, a me piacciono canzoni molto deprimenti, da tagliarsi le vene.

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