DI ORIANA FERRAGINA
Prima di intraprendere una carriera come solista, non molti sanno che Enrico Ruggeri era fondatore e componente di un gruppo musicale chiamato Decibel.
Gli inizi del gruppo si devono ricercare nella città di Milano nel liceo classico “Giovanni Berchet”, frequentato da Enrico Ruggeri e Fulvio Muzio, e nel liceo scientifico attiguo, l’”Einstein”, frequentato invece da Silvio Capeccia, e dove i tre, nella prima metà degli anni ’70, iniziarono a fare amicizia grazie ai loro gusti simili e particolari, per l’epoca, in fatto di musica: il glam rock e il proto-punk. Tra scambi di suggerimenti di brani musicali e stimoli, i tre iniziarono a suonare insieme e a fare i turnisti in altri gruppi musicali.
Prima di arrivare alla formazione classica dei Decibel, il gruppo attraversò varie fasi e nomi.
La prima formazione del gruppo era basata solo su Enrico Ruggeri e Silvio Capeccia che, unendosi ad un gruppo heavy metal già esistente chiamato “Trifoglio”, crearono la prima band, ovvero gli “Champagne Molotov”. Questo cambia con l’arrivo del punk, nel 1977: il gruppo prende il nome di “Decibel”, dice addio temporaneamente a Silvio Capeccia e, oltre a questo, Ruggeri riesce a strappare un contratto con la Spaghetti Records di Milano, producendo il primo album in studio dei Decibel, ovvero “Punk”; purtroppo non ebbe molto successo, causando l’abbandono del gruppo dei tre membri del gruppo “Trifoglio” nel 1979, cosa che portò Ruggeri a chiedere a Capeccia di ritornare e al suo ex compagno di classe Fulvio Muzio di unirsi a loro.
In quegli anni il gruppo iniziò a lasciare le sonorità punk per approcciarsi al new wave, come si può notare nel lato B del 45 giri “Indigestione Disko”, registrato alla Stone Castle Studios di Carimate sotto la supervisione di Shel Shapiro, contenente il brano “Mano Armata” che, nonostante le connotazioni punk, risente già degli effetti elettronici che caratterizzano lo stile new wave.
Sempre nel 1979 i Decibel incidono il loro secondo album, “Vivo da Re”, ottenendo un forte successo, specialmente con il brano “Contessa”, che ho citato anche nel titolo, cosa che spingerà la Spaghetti Records a decidere di iscrivere la band al Festival di Sanremo. All’inizio i membri del gruppo (a cui si era aggiunto il batterista Walter Calloni, che aveva suonato già per la Premiata Fonderia Marconi e Lucio Battisti) non erano entusiasti della proposta, per poi alla fine accettare come idea provocante e come forma di sfida verso un altro gruppo che avrebbe partecipato al Sanremo del 1980, ovvero gli Skiantos, che la stampa aveva definito come il gruppo rivale dei Decibel.
Il gruppo riuscì a passare tutte le selezioni, partendo dalla sezione giovani e riuscendo ad arrivare alla sezione big, come da regolamento di quell’anno, anche se non riuscirono a vincere il Festival: il premio venne aggiudicato da Toto Cutugno con “Solo Noi”.
Ed è proprio sul loro secondo album che vorrei soffermarmi, sviscerandone le sonorità e lo stile. Questo per due semplici motivi. Primo, è l’album che mi ha fatto conoscere i Decibel e adoro le sonorità che si possono trovare all’interno dello stesso; questo tralasciando il fatto che i nomi delle canzoni che ho usato nel titolo dell’articolo sono tutte prese da quest’album.
Secondo, dopo questo album, Enrico Ruggeri lasciò i Decibel per intraprendere la carriera da solista e, andatosene lui, il successo dei Decibel andò scemando pian piano, fino ad entrare nel dimenticatoio della storia per poi ritornare alle luci della ribalta con la storica reunion di Enrico Ruggeri con i due storici membri del gruppo, ovvero Silvio Capeccia e Fulvio Muzio, annunciato in una conferenza stampa il 14 dicembre 2016 al liceo classico Berchet di Milano; ovvero, il liceo che Ruggeri e Muzio avevano frequentato quando iniziarono a suonare insieme.
Ma smettiamola di divagare e torniamo al nocciolo della questione: l’album “Vivo da Re”.
Pubblicato nel 1980 sfruttando l’onda mediatica dell’esibizione dei Decibel a Sanremo, l’album è fortemente influenzato dallo stile new wave che si può sentire negli effetti elettronici creati e nei suoni sintetici presenti in molti dei brani dell’album: riverberazione della voce che viene distorta in più punti della canzone, come in “Supermarket” (già citata nel titolo), e uso di suoni dagli effetti psichedelici, come ne “Il mio show”, rendono i brani ballabili e molto energici, grazie anche alla corposità del suono della batteria, che diventa elemento legante e trascinante delle canzoni.
Con tonalità allegre e spensierate vengono trattati temi anche molto scuri, come in “Sepolto vivo”, dove ti ritrovi a ballare e a cantare a squarciagola il ritornello, nonostante il tema di fondo del brano trasudi umorismo nero da tutte le parti; ovvero tratta di un uomo che si ritrova, come dice anche il titolo, sepolto vivo e spiega la sua situazione tragica, dichiarando nella seconda strofa che vorrebbe essere da qualsiasi altra parte, persino in guerra.
Come possiamo capire, quindi, le canzoni sono pervase da un forte umorismo e un sarcasmo di un nero abissale; talmente nero da far sembrare i corvi bianchi. Prendiamo, ad esempio, “Pernod”, il mio brano preferito dell’album (e, per chi avesse letto il mio articolo su Rino Gaetano, ecco cosa intendevo quando affermavo che mi piacciono canzoni deprimenti da tagliarsi le vene; invito chi non lo avesse letto a provvedere): il pezzo è cantato da un uomo, ormai al limite della sua depressione, che ci racconta, attraverso la voce roca di Enrico Ruggeri, di come abbia terminato ogni singola bottiglia di superalcolico che aveva in casa, fumandosi tutto e distruggendo ogni cosa nella sua abitazione, nel mentre che ci mostra parte della sua vita definita, da lui stesso, perdente. Come, per esempio, l’inizio della seconda strofa:
“Ho già finito la mia vodka ghiacciata,
e brindo a lei, che non è più ritornata.
Mi ci vorrebbe qualcosa da fare,
non ho più niente in casa da sfasciare”
Il brano delinea il lento declino dello stato di salute mentale di un uomo, che inizia ad immaginarsi il proprio funerale nel mentre che vomita nel cesso e dopo aver terminato la roba da distruggere in casa finisce con la sua morte nella terza ed ultima strofa della canzone, nella quale, dopo aver immaginato la reazione di giornali, foto, amici, donne e prete (citati nell’ordine in cui vengono detti nella canzone), si spara un colpo.
Notiamo due particolarità nella canzone: la prima è che il brano è sprovvisto di un ritornello ed è formato, invece, da tre strofe abbastanza corte, intervallate da un ritmo lento e cadenzato, buono per essere usato in un ballo lento; la seconda è che, dopo lo sparo, c’è una breve pausa silenziosa che potrebbe ingannare, facendo pensare che, con lo sparo, la canzone finisca, quando non è così, perché il ritornello musicale che abbiamo sentito tra le strofe viene ripreso di nuovo nel finale, facendoci anche l’ultimo scherzo con una nuova pausa, prima della conclusione del brano.
Un altro fatto curioso: il brano, nell’album, viene messo prima di “Ho in mente te”, brano cover del gruppo modenese Equipe 84, con un testo molto semplice, in cui il protagonista afferma di avere sempre in mente qualcuno, ovunque vada e qualunque cosa faccia; il brano, oltretutto, è stato usato in una famosa pubblicità di un paio di anni fa.
Un altro tema musicale che si può riscontrare nell’album è quello ispirato dai cabaret tedeschi degli anni venti, come si può sentire nel brano che il gruppo portò a Sanremo, “Contessa”, uno dei miei altri pezzi preferiti insieme al sopracitato “Sepolto Vivo” (anche se devo ammettere che non disdegno nessuno dei brani presenti nell’album).
La canzone, piena di ironia e da non confondere con il pezzo omonimo di Paolo Pietrangeli del 1968, parla di una nobildonna che vive ancora radicata nella sua nobiltà ormai antiquata, pensando che ogni singola persona debba prostrarsi ai suoi piedi e riferirle ogni cosa importante da sapere nel mondo e che tratta i suoi amanti “come fossero bignè”; una donna, insomma, ninfomane e autoritaria, che usa gli uomini come vuole per poi abbandonarli il giorno dopo.
Questa forte ironia, il testo schietto e pieno di riferimenti sessuali sono tra i motivi per cui, nonostante i Decibel riuscirono ad arrivare alla fase finale e tra i big di Sanremo, la canzone non vinse il Festival di quell’anno; come ci si aspettava, d’altronde.
Curiosità sull’album: il titolo originale della canzone “Vivo da Re” era “Leaving Home” ed era una canzone in inglese, ma venne poi deciso di tradurre il testo in italiano e inserirlo così nell’album.
I testi dei brani inediti (ovvero tutti, tranne la sopracitata “Ho in mente te”, composta da Mogol) sono scritti da Enrico Ruggeri, mentre le musiche sono attribuibili a Ruggeri stesso, o a Muzio, o a Capeccia.
La copertina dell’album ci mostra i componenti della band (mentre suonano) vestiti con camicia bianca, cravatta nera e pantaloni dello stesso colore, in posa uno di fianco all’altro, su uno sfondo bianco; ovviamente, Enrico Ruggeri risalta sui propri compagni per i capelli tinti di biondo e gli occhiali da sole sul naso. La stessa foto verrà usata su una delle copertine dei due 45 giri che sono stati tratti dall’album, ovvero quello di “Vivo da re/Decibel”; l’altro 45 giri è quello con i brani “Contessa/Teenager”.
E detto questo, vi invito caldamente ad andare ad ascoltarvi l’album e vi lascio con un’ultima citazione, direttamente dal brano di “Contessa”:
“Chi sei, C-C-C-Contessa!
Tu non sei più la stessa
Vuoi che io rimanga nel tuo letto
per poi sbattermi su e giù
Non ti lamentare se domani non ti cercheremo più”
(Da questa breve citazione potete capire perché la canzone non sia riuscita a vincere nel 1980).
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