Exuvia (Caparezza)

DI ELODIE VUILLERMIN

Un altro disco di platino. L’ennesimo colpo di genio di Caparezza. Da lui definito come il disco più sofferto della sua carriera, Exuvia, pubblicato nel 2021, si può considerare la continuazione di Prisoner 709: l’artista, dopo l’evasione dal suo carcere personale, fugge verso una selva, una foresta (simbolo di libertà totale) dove nessuno potrà mai raggiungerlo.

Exuvia fa riferimento anche all’omonima parola greca, la quale indica la muta degli insetti, ciò che rimane del loro corpo dopo un cambiamento. L’album diventa quindi la metafora dell’inizio di una nuova vita, pur restando sé stessi. Dopo la sua trasformazione, Caparezza ha cambiato pelle ma è comunque rimasto il ribelle che va contro il mondo, le sue regole e tendenze.

Canthology, collaborazione con Matthew Marcantonio, è un’antologia e rivisitazione dei brani più celebri del Capa, nonché un tentativo di fare ordine nel proprio passato. Ma il tutto si trasforma in un incubo dove i personaggi degli album precedenti si rivoltano contro di lui: Michael Jackson gli dà dell’idiota, il suo cane Catalessi scappa via e non torna più, viene ghigliottinato come Danton e giocano a calcio con la sua testa, Galileo gli fa il dito medio, Van Gogh lo seppellisce. Get away, ripete incessantemente il ritornello, in un invito a lasciarsi il passato alle spalle e ricominciare.

Ecco ora palesarsi, introdotta da una melodia di archi e dai versi del lirico fuggiasco Dino Campana, Fugadà, una continuazione della fuga cominciata in Prisoner 709. L’artista scappa da tutto e tutti. Non solo, brucia il vecchio sé stesso, lasciandosi dietro solo un’exuvia (“Sale fumo dalla pira, ullallà, goditi la mia rovina, Yucatán”). A guidarlo in una foresta, lontano dalle sbarre della sua cella, è una voce femminile che ricorda molto quella delle sirene. E noi la sentiamo più nitidamente in Una voce, il primo skit (breve intermezzo) del disco. La musica è più rilassata rispetto a prima, segno che Caparezza si è fermato per un istante a riposare.

In El sendero il rapper pugliese è alla ricerca di una nuova strada da seguire. Parla anche dei sentieri che hanno intrapreso i suoi familiari: del nonno che ha combattuto in guerra e ha perso tutto ciò che aveva, del padre che era vicinissimo a diventare cantautore ma ha dovuto rinunciarvi. Lui è l’unico ad avere realizzato i suoi sogni, eppure si fa prendere dal dubbio di non aver vissuto una vita abbastanza degna, di non aver ancora sperimentato abbastanza gioie e dolori (soprattutto questi ultimi). Il ritornello è preso da La selva, brano di una cantante messicana, Mishel Domenssain.

Campione dei novanta, come la canzone precedente, è a carattere biografico. Nello specifico, parla della vita di Caparezza precedente a Caparezza stesso, quella in cui era ancora Mikimix, ma stavolta più nel dettaglio rispetto a brani quali Mea Culpa o Habemus Capa. Non c’è più l’ironia o la vergogna nei confronti del vecchio sé stesso: anzi, il nostro Salvemini racconta quegli anni con un certo orgoglio, affermando che nella musica (come in qualsiasi ambito, del resto) il fallimento è parte del successo. Devi saper sbagliare più e più volte per poterti migliorare, perché è dagli errori che si impara. E infatti affrontare sé stesso e i propri sbagli è quello che permetterà al Capa di proseguire sul sentiero della sua nuova vita. Il titolo è un altro colpo di genio, l’ennesimo che ci stupisce: il “campione” non è soltanto il vincente che è diventato dopo numerosi fallimenti, ma anche una prova (nel senso che Mikimix è stato un test prima di arrivare a essere Caparezza); inoltre è un riferimento alla campionatura di altri testi, pratica molto apprezzata dal nostro rapper, e infatti troviamo ben due campioni (uno di un brano di Chef, amico di Caparezza, e l’altro di una canzone degli Statuto).

Dopo il secondo skit (La matrigna) che introduce una nuova sezione del disco, quella dedicata alla Natura, si palesa Contronatura, dove viene rappresentata la Grande Madre da cui tutti siamo nati come qualcosa che non si cura dei propri figli, che è fatto solo per esistere e che deve solo ripetere all’infinito il suo ciclo vitale di prede e predatori. Ma l’uomo può essere migliore della Natura stessa perché, in quanto essere dotato di intelletto, va contro la Sua natura fatta di violenze e disastri. Interessante come Caparezza scelga di cantare fino alla seconda strofa con un timbro vocale diverso, andando appunto contro la sua stessa natura. Segue l’Eterno paradosso, quello che egli vive tra l’essere una persona riservata che non ama esporsi troppo (Michele Salvemini) e l’essere la celebrità nota al pubblico che deve essere messa in vetrina (Caparezza). Due parti che, come già constatato in Dualismi, non possono esistere l’una senza l’altra.

Il nuovo skit, Marco e Ludo, segnala un bivio sul sentiero di Caparezza: fare come Mark Hollis (Marco) o come Ludwig Van Beethoven (Ludovico)? È tempo di fare La scelta. Annunciato da un suono di armonica distorto, ecco quello che reputo il brano migliore dell’album, dove i due musicisti citati prima raccontano la propria vita a Caparezza e ognuno prova a incitarlo a seguire il proprio esempio. Beethoven gli suggerisce di dedicare tutta la sua vita all’arte, come ha fatto lui nonostante la sordità. Hollis, invece, prova a dissuaderlo da quella scelta: se metterà al primo posto la musica sacrificherà la famiglia, quella a cui lo stesso Mark non ha voluto rinunciare. Una scelta difficile, a metà tra la patetica e l’eroica (citazione di due sinfonie di Beethoven)

Azzera pace, cioè “e Caparezza” letto al contrario, rappresenta appunto la tendenza dell’artista ad andare controcorrente, a contraddire tutto e tutti (incluso sé stesso). Non solo, sembra contenere una risposta al dilemma di poc’anzi, suggerisce l’esistenza di una terza via oltre a quelle di Marco e Ludovico: quella di Caparezza stesso, che cerca di trovare un compromesso tra la musica e la vita privata. A tal proposito dichiara: “Non ho ancora trovato il compromesso. In realtà vivo per questo compromesso. Il problema è accettarlo e per quanto tempo.” Mentre in Eyes Wide Shut, citando l’omonimo film di Kubrick, Caparezza tira in ballo le maschere più famose e ne elogia l’utilità. Alla fine ne risulta che la maschera (metafora dell’arte) è migliore della realtà e proprio per questo il rapper pugliese non vuole abbandonare la sua.

L’intermezzo Ghost Memo ci porta dal sentiero nella foresta a una città fantasma: è proprio questo il tema della canzone seguente, Come Pripyat. La città abbandonata dopo il disastro di Chernobyl diventa la metafora dei cambiamenti negativi avvenuti nell’odierna società italiana: l’uso cattivo dei social, i sudisti che prima denigravano la Lega e ora si mettono a votarla, i ragazzini che esaltano la criminalità dilagante e ne fanno un’ambizione sociale, e così via. La situazione sembra statica, eppure questa immobilità è comunque invasa dalle “mutazioni” elencate poc’anzi. A Caparezza sembra di parlare a vuoto, o meglio al vuoto, su una base che riproduce il suono di un contatore geiger.

Ne Il mondo dopo Lewis Carroll il nostro artista analizza sé stesso e il modo in cui è mutato nel corso degli anni. Si immedesima nei panni di un Cappellaio Matto ormai anziano che non riesce più a trovare la sua Alice. Una metafora di come fantasia, immaginazione e capacità di stupirsi spariscano nel passaggio dall’infanzia all’età adulta. Lo skit Pi Esse, una sorta di post scriptum che il Cappellaio Matto rivolge alla sua Alice, spiega come la razionalità abbia distrutto il Paese delle Meraviglie e che ormai anche il tempo sta decadendo, come dimostra l’orologio senza lancette in mano al Bianconiglio. È proprio il tempo l’argomento centrale di Zeit!, un brano che (come rivelato dallo stesso Caparezza) nasce durante il primo lockdown: il testo è pertanto una riflessione sul tempo che non passa e sembra invecchiare insieme a noi.

Ma il cambiamento più grande è la morte, tema focale di La certa. Dopo di lei c’è la rinascita dello spirito. Nei panni della Morte, il nostro Salvemini cerca di incoraggiare i suoi ascoltatori a vivere al meglio la vita, a coglierne ogni istante, così da non rimpiangere nulla quando saremo alla fine del nostro tempo. La conclusione di tutto è l’Exuvia, il lasciarsi alle spalle l’esoscheletro del vecchio sé stesso, una fine che è anche l’inizio di un nuovo percorso.
Anche stavolta, come in Prisoner 709, mancano quasi del tutto l’ironia e lo spirito critico che hanno contraddistinto lo stile personale di Caparezza. Resta innegabile la sua capacità nella costruzione delle frasi, nel trasformismo delle parole, nelle citazioni e perfino nelle basi musicali. Se l’acufene l’avesse vinta su di lui, sarebbe un peccato, perché sono gli artisti come il Capa a fare davvero la differenza nel panorama musicale italiano.

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